Rivolta, scontri e sangue: la notte di Chiaiano
La battaglia della rotonda Titanic, al confine tra Chiaiano, Marano e Mugnano, è stata una protesta popolare, fortemente appoggiata dai rappresentanti politici della zona, gli unici riconosciuti come interlocutori. Loro c’erano, radunati come gli altri dal tam tam via cellulare: una chiamata a raccolta che nel giro di pochi minuti trascina in strada più di mille persone. Ed contro polizia, finanza e carabinieri è stato un coro di «Vergogna, vergogna», «Assassini, assassini». Donne, uomini e anziani; giovani del gruppo Insurgencia. Arrivano a dare man forte rappresentanti dei comitati di Giugliano, Pianura e Gianturco. Oggi dovrebbero arrivare anche militanti romani. Un secondo fronte si apre al bivio con Mugnano, e qui scendono in piazza anche i più piccoli. Alla fine della giornata, il bilancio degli scontri è pesante: nove feriti, tra cui un ragazzino di 12 anni, mentre una donna di 84 anni, colta da malore durante gli scontri, è stata ricoverata in terapia intensiva in seguito. Sette i manifestanti fermati e portati in questura. La strategia è stata quella di chiudere gli accessi. Tra i primi atti il sequestro di un autobus dell’Anm, in via Santa Maria a Cubito: il conducente è invitato a scendere, il veicolo viene messo di traverso in strada. C’è chi rovescia sul selciato cassonetti traboccanti di immondizia, a fare da barricata. Una campana per la raccolta differenziata del vetro viene svuotata e con i cocci che conteneva si cerca di creare un’altra barriera . Alla rotonda si schierano polizia e finanza in assetto antisommossa, al bivio per Mugnano ci sono i carabinieri, un altro percorso (dove non si saranno incidenti) è presidiato dai vigili urbani, dal cielo sorveglia tutto l’equipaggio di un elicottero. La tensione è altissima, il muro di rifiuti diventa muro umano. Le donne sedute a terra, in prima linea. Alle loro spalle gli uomini, in piedi. Mani alzate, nessuno reagisce contro le forze dell’ordine, soltanto slogan e urla per difendere le cave. «Resistete, resistete», grida nel megafono un ragazzo che è salito sulla cima di un cassonetto. «Resistere, resistere», ripete la folla. Si aspetta che gli uomini in divisa si mettano in moto per forzare il blocco. Il primo contatto verso le 19.45, preannunciato dal suono di una sirena. Gli agenti premono sui manifestanti, compaiono i manganelli. Un uomo viene colpito alla testa. Un altro, infartuato, sbottona la camicia e mostra alla polizia i cerotti che gli difendono il cuore. Non dice nulla ma il messaggio è evidente: colpite qui, se ne avete il coraggio. Un altro anziano viene colto da malore e accompagnato in ospedale: si chiama Giovanni Grasso, 73 anni, muratore in pensione. Quando la stagione della rivolta era appena agli inizi si era dichiarato pronto a fare da scudo alla sua terra, portando con sè anche la moglie. Gli uomini in divisa arretrano, qualche minuto di tregua. In strada ora ci sono anche i consiglieri comunali delle località più vicine. C’è il sindaco di Marano, Salvatore Perrotta, che tenta una mediazione. Ma non riesce. I manifestanti restano al loro posto, le forze dell’ordine si preparano a muoversi per la seconda volta. Alle sirene delle camionette si aggiungono quelle delle ambulanze che vanno e vengono. Una donna con la camicia azzurra, nel tentativo disperato di non lasciare la sua postazione, si aggrappa forte con le braccia a un segnale stradale. Una ragazza in giacca rosa, seduta a terra, piange disperata per la rabbia e per la paura. Un invalido solleva le stampelle al cielo: «Andate via, andate via». Estremo tentativo di difesa, alle 20.25, l’incendio del bus. Mentre cominciano a divampare le fiamme i manifestanti scappano in direzione Marano, attraverso corso Europa. Alla Rotonda restano a fronteggiarsi forze dell’ordine e manifestanti. Comincia la lunga notte, aperta con un’assemblea dove sono state lanciate pesanti accuse contro la polizia. Mentre più su a Cupa del Cane, al presidio, erano già pronte le molotov.