Saviano in tv: «A Parete soldi a brandelli gettati nei campi» Il sindaco avvia un’indagine, dei biglietti nessuna traccia
Nel suo lungo monologo sui rifiuti dell’altra sera, Roberto Saviano, ha anche parlato di un «agricoltore di Parete che mentre arava la terra ha trovato lire tagliuzzate e smaltite illegalmente nel suo campo». Il sindaco di Parete, Luigi Verrengia, si è preccupato della cosa ed ha mandato i vigili urbani a verificare: niente e nessuno che avesse mai sentito una cosa del genere. In realtà quell’episodio non si è verificato a Parete, ma a Castel Volturno ed esattamente, otto anni fa, ossia il 23 novembre 2002. Fu una pattuglia dei vigili urbani di Castel Volturno ad intercettare un camion, all’apparenza carico di terra, che sversava la sera tardi in un campo dei «Mazzoni». La polizia bloccò l’autista, gli sequestrò i documenti e fu accertato che altri carichi erano stati sversati in precedenza sullo stesso terreno. Da quei cumuli di terra (che di lì a poco sarebbero stati seppelliti per sempre) proveniva un odore acre fortissimo. Bastava rimuovere un po’ di terra per veder spuntare fuori cubetti di banconote tagliuzzate, pressate e cosparse con potenti reagenti chimici. I vigili avvisarono il sindaco dell’epoca Antonio Scalzone (che poi è lo stesso di adesso) e con lui Il Mattino effettuò un sopralluogo e diede la notizia documentandola con un servizio fotografico. Ma come erano finiti quei soldi nelle campagne di Castel Volturno? E perché dai blocchetti emanava quell’odore acre? Venivano dal Poligrafico dello Stato, ossia dalla Zecca. Su questo non c’era dubbio. Il Poligrafico, infatti ritira dal commercio attraverso le varie sedi della Banca d’Italia le banconote usurate e le sostituisce con cartamoneta nuova. Quella vecchia viene triturata e pressata e, per evitarne il riuso ai fini di falsificazione qualora finisse in cattive mani, viene impregnata di reagenti chimici. Quelle banconote erano quindi rifiuti pericolosi e tossici. E non ci vollero le analisi per dimostrarlo dal momento che il cronista che andò sul posto avvertì fortissimi giramenti di testa avvicinandosi ai cumuli di «soldi a cubetti». «I soldi sono nostri, ma li abbiamo affidati all’Ama, l’azienda municipalizzata di Roma per lo smaltimento. Per il resto non sappiamo nulla». Questa fu all’epoca la giustificazione della sede centrale della Banca d’Italia. Le indagini della Procura di Santa Maria, coordinate dal pm Donato Ceglie, furono affidate al Nucleo operativo ecologico dei carabinieri. Il filone d’inchiesta si spostò ben presto verso Nord e venne ricostruita una serie di passaggi di mano delle banconote triturate fino al loro invio ad un impianto di compostaggio. L’impianto di compostaggio a Nord di Roma aveva rivenduto i soldi come materiale organico per la concimazione e qualcuno aveva pagato 50 euro a camion a proprietario del fondo su cui era stato effettuato lo sversamento abusivo.