Riapre Cava Sari: i Tir sversano fra fischi e urla

Ancora alta tensione a Terzigno
autisti minacciati dai manifestanti
21 novembre 2010 - Pietro Treccagnoli
Fonte: Il Mattino

La Scheda di Cava Sari Terzigno. La notte vesuviana è fredda e interminabile, anche se l’hai attraversata migliaia di volte, guidando un camion, la stessa strada, i fari delle auto che t’incrociano e non sempre abbassano a tempo gli abbaglianti. I tergicristalli, che sventagliano l’acqua a destra e a manca, possono essere anche ipnotici se non ci sei abituato. Una casa, un incrocio, una campagna senza luci. Dritti verso Cava Sari, che ha riaperto per 18 comuni vesuviani, dritti verso il vulcano. Da Ottaviano a Terzigno la strada non è lunga, ma è un percorso accidentato. Uno dei tanti autisti ha fatto il callo alle proteste, ma continua ad avere paura, si sente un bersaglio innocente. Confessa: mi vedono come un nemico, mi insultano, mi minacciano, ma, hai voglia a spiegarglielo, questo è il mio lavoro, e poi qui ci vivo pure io. E si chiede, retoricamente: è meglio che tutta questa monnezza resti per le strade? La notte è cominciata presto, per l’unico camion che ha tirato su sacchette a Ottaviano, tecnicamente è un bilico (un autoarticolato), più grande del tradizionale compattatore. Trasposta fino a 30 tonnellate, contro le 10, 11 di un mezzo normale. Da quindici giorni nel paese che fu la roccaforte di Raffaele Cutolo lavora una ditta romana, la Alfa Comecol. La raccolta è tranquilla, attraverso strade, vicoli e palazzi che, alle 10 di sera, hanno ancora molte finestre illuminate. Si fa con calma. C’è tanto da raccogliere, ma tanto resterà ancora a terra. Si carica tal quale. Un caffè per tenersi su, perché si finisce alle 2 di notte. Il brutto deve ancora arrivare ed è una sfida che ricorda «Duel» di Steven Spielberg, ma a ruoli invertiti, con il camionista nei panni della preda. Poco più di una mezz’ora di viaggio, passando per San Giuseppe Vesuviano e poi per la parte alta della Panoramica (lontano dalla rotonda degli scontri). Alle 3 si risale la strada che porta alla discarica. Tutto è filato liscio. Non c’è neanche fila. Il tempo di pesare il camion e si vomita tutto nel buco nero che inghiotte gli scarti delle bulimiche case della nostra civiltà dei consumi, che niente consuma e tutto butta via prima che si usuri. Ma sulla via del ritorno la nottata cambia scena. Un secondo tempo, come da copione. Niente a che vedere con le ore di terrore dell’Intifada di Boscoreale, con sassi, bottiglie e fuochi d’artificio, con camion incendiati (a fuoco, in quei giorni, ne sono andati anche quattro di Ottaviano). Mentre dall’altra parte di via Zabatta, alla rotonda, il clima rischia di accendersi, qui ne arriva appena l’eco. Là carabinieri e polizia in tenuta antisommossa hanno stretto la piazza in una cintura. E quando passano i camion scatta una salva di applausi e una bordata di fischi. Saranno state le 4 e ora pure il bilico si sente in bilico. Perché qualcosa succede. Una cinquantina di manifestanti ferma il camion, poco lontano dal bar Rifugio. L’adrenalina scatta. Rieccoci nel casino e mo’ che si fa? Per fortuna non si è soli. Dietro arrivano altri quattro, cinque automezzi. C’è pure la polizia, un blindato e qualche volante. I manifestanti saranno una cinquantina. Sembra gente pacifica: donne giovani e meno giovani, ragazzi e uomini. Controllano la targa. Scendi, scendi. Cosa hai portato? Facci vedere le carte? Un picchetto, all’incontrario. L’autista apre il portellone e si cala giù. Ostenta calma, mostra le carte, il formulario che identifica la natura dei rifiuti scaricati: una sfilza di sigle e di numeri. E chi ci capisce niente? Roba per tecnici. Per tutti è tal quale, monnezza, sacchette. Sfogliano, girano, guardano, chiedono. Il clima si fa teso, qualche urlo, qualche insulto e poi un invito che ha i toni di un ordine: tu qua non ci devi più venire. Certo, ma neanche se ne riesce ad andare. La polizia cerca di calmare gli animi. La situazione è comunque sotto controllo. Al freddo, ai margini della strada, si parlotta o si resta a guardare. Le ragioni sacrosante della gente di queste terre avvelenate sono diventate un mantra: state uccidendo il futuro dei nostri figli, abbiamo già dato, questa puzza ci porta tutti al cimitero, la frutta sugli alberi la dobbiamo buttare, vogliamo la bonifica. Il tempo passa invano, s’attorciglia su se stesso e già comincia ad albeggiare. Sono le 6, quando c’è il via libera. Ci è andata bene, riesce a dire l’autista, quando la saliva gli ha sciolto la lingua. Temeva di essere picchiato. Al altri suoi colleghi è successo: strattonati giù dalla cabina e quasi sbattuti a terra. Quando ci stanno le guardie, ammette in un paradosso, è pure peggio, certo ci proteggono, ma la loro presenza eccita le teste calde, quelli che cercano lo scontro, gli sale la pressione. Hanno ragione a incazzarsi, e chi lo nega?, continua mentre il cielo è ormai chiaro, Ottaviano è quasi vicina. La nottata doveva passare ed è passata, almeno per un bilico.

Powered by PhPeace 2.6.4