Sepe: aria malefica, chi è responsabile intervenga
Ancora una volta il cardinale è costretto a usare parole forti, alte e dure, come si addice alla catastrofe della spazzatura. Crescenzio Sepe, ieri, non l’ha mandato a dire, ma da pastore che ha a cuore il benessere del gregge che gli è stato affidato in custodia, ha invocato una soluzione efficace e rapida. Non è la prima volta. Ma ora sembra che il vaso di Pandora sia inesorabilmente traboccato. Già negli anni passati il cardinale aveva sollecitato con veemenza gli uomini che amministrano il bene pubbliche a togliere la vergogna della monnezza dal volto bello di Napoli. «Il dramma dei rifiuti è profondamente doloroso» ha sferzato Sua Eminenza che in Curia annunciava il Giubileo per Napoli e illustrava il programma dei «Dialoghi con la città», appuntamento consolidato nel periodo dell’Avvento. «Perché Napoli sommersa dalla spazzatura è una realtà che dura da troppi anni e naturalmente danneggia la nostra immagine anche all’estero». Ed è come una spada conficcata nel cuore di ogni cittadino, una croce quotidiana che si trasforma in una crudele beffa per stragrande parte onesta della città. Un inferno scontato in terra. «Ne abbiamo già parlato in passato» ha ricordato Sepe «ma qualcosa continua a non funzionare, non va per il verso giusto. Ed è un mistero che provoca disastri ambientali e danneggia la salute». Un mistero doloroso che per il cardinale è diventato l’occasione per lanciare un appello che non ammette deroghe e rinvii: «È più precisamente un invito al governo e a tutte le istituzioni: si intervenga e si risolva il problema al più presto. L’aria che respiriamo è malefica per lo spirito e per il fisico, per la nostra identità di cittadini e di cristiani». E la sollecitazione diventa pressante, individuando e chiamando in causa gli interlocutori diretti: «Né la Regione, né il governo possono tirarsi indietro. Si trovino gli strumenti per risolvere questo dramma». La Chiesa è scesa in campo da tempo, per il bene del suo popolo. Già contro la discarica di Terzigno si era mobilitata, nei giorni duri della protesta e dell’aria avvelenata dai miasmi, la diocesi di Nola, con il vescovo Beniamino Depalma in prima fila. In queste ore, con le oltre tremila tonnellate per le strade, i vicoli e le piazze della città, con la pioggia che gonfia i cumuli di sacchetti e le schifezze suppuranti, attenuandone appena il puzzo, il disastro ambientale è sotto il naso di tutti e gli occhi, ancora una volta, del mondo intero. Il cardinale, da largo Donnaregina, ha invocato la ragione degli uomini: «Sembra che si sia arrivati a un punto di non ritorno: ma non è possibile». Non si può restare inerti e in silenzio. Non si può chiudere la porta alla speranza. «Occorre che ognuno si assuma le proprie responsabilità» ha concluso chiaro e tondo il cardinale. «Il problema dei rifiuti è una macchia che continua a offuscare noi napoletani». La cornice di ieri era l’annuncio di un Giubileo all’ombra del Vesuvio per il 2011, che partirà il prossimo febbraio, nel segno del capolavoro caravaggesco delle «Sette opere di Misericordia», ma sarà preceduto il 16 dicembre (giornata che coincide con il terzo prodigio annuale della liquefazione del sangue di san Gennaro) da una giornata internazionale «di discussione e di riflessione» con la presenza del Nobel per l’Ambiente, il kenyano Richard Samson Odingo, e dello storico Lucien Jaume, specialista del liberismo classico francese. Durante l’anno giubilare napoletano si terranno anche le elezioni per Palazzo San Giacomo. E Sepe, a margine dell’incontro, sempre con il pensiero rivolto alle perenni emergenze di una città in bilico sull’abisso, si è augurato un forte impegno per il «bene comune». Un auspicio pastorale da uomo di fede. «Non ho ricette per la città» ha commentato «e non mi interessa il colore politico di chi verrà, né se sia uomo o donna. È importante, invece, che chiunque si prenderà la responsabilità politica di governare non potrà non tenere conto del bene comune e, dunque, della necessità di calarsi nella realtà. Dovrà agire seguendo questo unico strumento possibile». Il suo faro deve essere l’«eticità», ha concluso l’arcivescovo.