Risorgimento necessario

L'Unità decisa altrove, il passaggio fulmineo da sudditi a consumatori. Abbiamo bisogno di nuovi eroi per rifondare il Paese. Magari passando da queste strade
1 novembre 2010 - Simone Pallaga
Fonte: Il Sole 24 ore

L'Italia si appresta a celebrare i centocinquanta anni della sua unità, e Napoli ne diventa la capitale. Almeno così sembra, vista la quantità di titoli che strappa ai giornali. Ma a conquistare le tribune mediatiche (internazionali) sono i rifiuti intorno al Vesuvio di oggi e il caso Noemi letizia di un anno fa. Un declassamento anche ti-spetto alla vecchia copertina del Der Spiegel con spaghetti e rivoltella.
Napoli è capitale di un Paese ben strano, quasi capovolto. E le premesse di questa bizzarria fremono fin dagli esordi. Sorta più per necessità altrui che per vocazione propria. Panorama dall'Hotel Excelsior l'Italia sceglie di lasciarsi vivere invece di vivere. Si unisce sulla punta delle baionette francesi di Napoleone III e sotto l'ala protettiva della marina inglese. Quando l'imperatore dei francesi si accorda nel 1858 a Plombières con Cavour e prepara la guerra all'Austria (noi la chiamiamo Seconda guerra di indipendenza) lo fa per indebolire l'impero asburgico e non per favorire l'unità della Penisola. Creare un contendente per il controllo del Mediterraneo non rientra nei suoi piani. Scelta anti francese che invece ben garba all'Inghilterra, le cui navi incrociano a largo della Sicilia mentre sbarcano i garibaldini.
Eppure la coesione di quest'Italia voluta dalle grandi potenze dura poco.  La nazionalizzazione delle masse, così la chiamava George Mosse, comincia coartatamente sul Carso solo nel 1915. Sprofondati nel fango e nel sangue delle trincee, coscritti e volontari legano i loro destini per saldare ciò che era ancora diviso. Ma questa unione finisce presto. Nel febbraio del 1952, quando dal palco di Sanremo Nilla Pizzi canta Vola colomba inneggiando a una Trieste italiana - ma allora e ancora per due anni sotto amministrazione britannica - abbiamo l'ultimo sussulto di un orgoglioso senso di appartenenza.
Via Toledo Poi la Vespa e la Lambretta inondano la Penisola, e il richiamo della Dolce vita diventa irresistibile. La rivoluzione dei consumi bussa alle porte, come la metamorfosi dell'italiano, immortalata da Pasolini nelle lettere luterane: l'italiano passa da suddito a consumatore, saltando lo status di cittadino. Ma se il suddito conosce il nome di chi lo asservisce e può sollevarsi, il consumatore al massimo può imbastire una class action. Poca cosa, ma che ben rappresenta questa Italia capovolta, di cui Napoli oggi è il capoluogo.
Ma la luce, si sa, intarsia le ombre. Le mamme di Terzigno insorgono contro accordi presi sopra le loro teste e Roberto Saviano insegna a ribellarsi e a denunciare i soprusi. Anche da qui può sorgere un nuovo Risorgimento. Sarebbe il caso di ricordare invece di tanti guru stranieri, il partenopeo Vincenzo Cuoco, quando scrive nel 1799 "se mai la repubblica si fosse fondata da noi medesimi; se la costituzione si fosse fondata sui bisogni e sugli usi del popolo; forse noi non piangeremmo ora sui miseri avanzi di una patria desolata e degna di una sorte migliore." Forse. malgrado Bertold Brecht. dovremmo pensare che l'Italia ha ancora bisogno di eroi, e magari nasceranno a Napoli.

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