La consulta boccia le regioni antinucleare
Roma. Bocciate. La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime le leggi regionali con le quali Puglia, Basilicata e Campania hanno chiuso la porta alla realizzazione di centrali nucleari, impianti per la produzione di combustibile nucleare e depositi di rifiuti radioattivi sul loro territorio. La decisione era molto attesa e ad anticiparla è stata l’Ansa. Le motivazioni saranno depositate nei prossimi giorni ma il senso generale della sentenza si può intanto riassumere. La Consulta ritiene, nella sostanza, che le tre leggi violino specifiche competenze statali stabilite dall’articolo 117 della Carta costituzionale. Nel caso dei depositi di materiale radioattivo, perché le tre Regioni avrebbero invaso la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente. Nel caso della costruzione di centrali nucleari, invece, perché sarebbe stata lesa la competenza statale esclusiva in materia di sicurezza. Nella sostanza, afferma la Corte, se le tre Regioni rinvendicano la necessità di un’intesa con lo Stato per la scelta dei siti su cui installare i diversi impianti, allora avrebbero dovuto impugnare davanti alla Consulta le leggi statali “incriminate”. E non, come invece hanno fatto Puglia, Basilicata e Campania, ripristinare la situazione che consideravano corretta attraverso proprie leggi ad hoc. Il governo segna dunque un punto in suo favore nella battaglia per il rilancio del nucleare in Italia, avversata da molti enti locali. Già la scorsa estate, 10 Regioni tra cui Toscana, Umbria, Liguria, Lazio, Calabria, Marche, Emilia Romagna, Molise e le stesse Puglia e Basilicata, avevano presentato ricorso alla Corte costituzionale contro Ddl Sviluppo con il quale il governo aveva fissato la cornice per il ritorno della produzione di energia nucleare in Italia. A scatenare i ricorsi era stata quella parte della legge in cui si affidava agli operatori la scelta dei siti, all’interno di macro-aree definite dall’Agenzia nucleare. Ricorsi respinti anche in quell’occasione perché, disse la Corte, è al momento del decreto delegato che si sarebbe dovuti intervenire. Le Regioni hanno perciò impugnato il decreto delegato che nel frattempo il governo ha emanato (prima delle dimissioni dell’ex ministro Scajola) e si sta aspettando la decisione della Corte su questo ulteriore capitolo. Non solo. Sulla questione nucleare pende il quesito referendario presentato dall’Idv di Antonio Di Pietro contro il ritorno del nucleare. Il quorum delle 500 mila firme sarebbe stato raggiunto. Ma la Cassazione sta completando i conteggi. Solo dopo toccherà alla Consulta che potrebbe decidere all’inizio di gennaio. La battaglia sul nucleare, dunque, non finisce qui. La Campania, fra l’altro, non compare mai nelle liste, più o meno ufficiose, sui possibili siti. Si è invece parlato di Basilicata e Puglia per il deposito dei rifiuti radioattivi, di Montalto di Castro (Lazio), Caorso (Emilia Romagna) e Trino (Piemonte) per le centrali. Per gli stoccaggi la Sogin ha messo a punto una lista di 50 possibili località adatte ma occorre il consenso dei territori. Solo in caso di rifiuto potrebbe intervenire il Consiglio dei ministri.