Quella trincea lunga un chilometro "Da qui non si passa, devono trattare"

25 maggio 2008 - Attilio Bolzoni
Fonte: la Repubblica

La guerra di Napoli si vincerà o si perderà in questo maledetto ultimo chilometro che stiamo attraversando nella tregua dei combattimenti. È la strada che porta alla cava di tufo nelle mani dei ribelli della monnezza, da una parte c´è l´Italia con le sue leggi e dall´altra c´è la sacca di Chiaiano. Siamo di là, oltre le barricate.
Ecco via Cupa del Cane dopo le molotov lanciate sugli uomini in tenuta antisommossa, dopo le manganellate della polizia, dopo le pietre tirate e quelle "bombe" scagliate dalla folla rabbiosa.
Bottiglie piene di colla e di vernice, una miscela che si appiccica sui vestiti e fa prendere meglio fuoco quando arrivano le bombolette di gas con la miccia accesa. Dietro piazza Titanic qualcuno ha nascosto un piccolo arsenale. Sta diventando una rivolta armata non soltanto di sassi quella di Chiaiano, quartiere di Napoli che da un giorno e una notte è ancora inespugnato.
È il primo caldo d´estate, le montagne di spazzatura che marciscono al sole, tanfo, mosche. C´è un poliziotto che perde sangue, c´è un vecchio che perde sangue, c´è una donna che perde sangue. C´è anche un ragazzo che è scivolato giù da un costone. Un volo di otto metri, si è rotto una spalla e una gamba. C´è stato l´ultimo scontro in piazza Titanic a Chiaiano.
Si fa la conta dei feriti. Quattro, forse sei. L´autobus "sequestrato" l´altra sera dai ribelli viene portato via dal carro attrezzi, gli uomini in divisa con i caschi e con gli scudi indietreggiano, adesso Chiaiano è qui davanti che aspetta l´attacco finale. E prepara le sue trincee. La linea del fronte è questo maledetto chilometro.
Comincia a piazza Titanic. Nel primo pomeriggio sono trenta o quaranta le cape pazze che rovesciano i cassonetti per alzare la prima barricata. Dieci cassonetti incastrati uno all´altro e sopra altri dieci cassonetti, tutti legati con le catene e il filo spinato. Urlano questi ragazzi venuti chissà da dove per fare "resistenza" a Chiaiano, insultano i fotografi, minacciano. Via Cupa del Cane nel primo tratto è una strada larga, a sinistra alberi e a destra un bar. A quasi duecento metri dalla prima fortificazione ecco l´altro riparo. Hanno tagliato due giganteschi pini marini e portato i loro tronchi in mezzo alla strada, li hanno coperti di cataste di legna, di materassi. È la seconda trincea dei rivoltosi napoletani. Ancora duecento metri, ancora tronchi di albero, la carcassa di una vecchia utilitaria messa di traverso, ancora cataste di legno. La strada si restringe, c´è una piccola curva e un´altra barriera. Due auto che sbarrano il passo, cassonetti, vecchi mobili, rifiuti. L´ultima barricata è là in fondo, prima delle rete metallica e l´erbaccia che divide via Cupa del Cane da via Poggio Vallesana, il sentiero tortuoso che conduce alle tredici cave di questa Napoli nascosta alle spalle della collina del Vomero. Lì in mezzo c´è anche la cava che deve diventare discarica, la cava della furia di Chiaiano.
Manca ancora qualche metro per finire l´ultimo chilometro. C´è un bivio, allo spigolo delle due strade una cappella alla memoria di Coppola Gelsomina, un Cristo in croce, rose profumate, ceri. Via Cupa del Cane si chiama ora via Poggio Vallesana, è un percorso obbligato, il budello che arriva fino alla cava. L´accampamento è qui. Tendoni, tavoli, brande, un frigorifero, antenne satellitari, sacchi di sabbia. Sono in venti. Donne giovani e vecchie, pensionati, gli abitanti delle case vicine. E tre o quattro ragazzi del centro sociale Insurgencia. Ivo. Pasquale. Egidio.
Racconta il primo: «Questo è l´ultimo presidio, da qui non si passa». Racconta il secondo: «Devono trattare, devono trattare ancora con le persone che qui vivono da decenni». Racconta il terzo: «Non ce ne andremo mai, stanno facendo diventare Chiaiano il primo laboratorio italiano della repressione poliziesca del nuovo governo». Nell´accampamento sono acquartierati da ventiquattro giorni e ventiquattro notti. Fanno la guardia a turno. Tutti, ragazzi, vecchi, quelli dei centri sociali. Mangiano e dormono sotto i tendoni, le staffette portano e prendono notizie da piazza Titanic, altre tornano dal Tribunale di Napoli con le ultime novità sui loro compagni arrestati. I Ricciardello, padre e figlio. E Pietro Spaccaforno. Ricordano la storia di questa campagna piena di ciliegi e di viti, di poiane e di volpi.
Spiegano. Discutono. Sono diversi dagli altri rivoltosi, quelli della prima e della seconda e della terza barricata di via Cupa del Cane. La ribellione di Chiaiano è meticcia. Ci sono i medici che vivono nelle case in mezzo alla selva, ci sono gli impiegati delle case popolari dietro piazza Titanic, ci sono le donne che si stendono a terra con le mani alzate. E poi ci sono quelle cape pazze, i ragazzi che vengono dalle infami periferie napoletane - da Scampia soprattutto - con quelle bottiglie di «materiale altamente infiammabile», la colla e la vernice da tirare addosso ai poliziotti prima di accendere i fuochi. Sono tutti qui, tutti mischiati nell´ultimo chilometro.
Carmine Ragozzino vive in via Poggio Vallesana dal 1973. Ha costruito la sua casa abusivamente, negli anni successivi ha pagato la sanatoria, poi con gli altri vicini a proprie spese ha fatto arrivare la luce, l´acqua, ha fatto asfaltare un pezzo di strada. «E adesso arriva lo Stato e ci vuole mettere tutti noi dentro un cesso», dice mentre ci accompagna verso le altre case aggrappate alla roccia. La strada è in mezzo. Fra il quartiere di Chiaiano e i paesi di Marano e di Mugnano, in un parco di 540 ettari dove quasi dieci se li prenderà la discarica. E dove altri dieci o venti o trenta se li erano già presi certi camorristi che trafficavano con i loro camion, con i loro rifiuti.
Ma nessuno ha mai alzato barricate contro quelli. «Non siamo noi che dobbiamo combattere la camorra ma lo Stato», rispondono gli abitanti di via Poggio Vallesana. Pasquale: «Qualcuno ci ha provato, li ha denunciati, la magistratura ha impiegato sei anni per indagare, sei anni per scoprire che era gente di camorra e due ore per arrestare le persone perbene che si oppongono alla discarica».
In fondo all´accampamento arrivano le voci sugli scontri della mattinata. Confuse, sempre più drammatiche. Bambine ferite, donne incinte trascinate a forza dai poliziotti, finanzieri che hanno scaraventato giù dal muro quel ragazzo scivolato dal costone. Il tam tam di piazza Titanic consegna agli abitanti di Chiaiano un falso bollettino di guerra. Fino al tramonto, fino a tarda sera.
Anche quando in cinquemila sfilano pacificamente, contro la discarica e con alla testa la bimba ferita ieri l´altro all´inizio della guerriglia. C´è chi soffia sul fuoco della protesta. C´è chi spinge ad alzare il tiro, a infiammare la piazza. In queste terre intorno a Chiaiano c´è qualcuno che vuole vedere sangue, che vuole vedere morti.

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