La rivolta di Casoria: nessuna bonifica con le nostre tasse
"Noi paghiamo, interventi zero"
Casoria. Una volta era ricco di acqua e perfino di pesci ma ora il Sebeto, ricordato da qualcuno come il fiume fantasma, che scende dal monte Somma e attraversa le campagne di Casalnuovo, Volla, Ponticelli e del quartiere Arpino di Casoria, per dividersi a Napoli in due rami, uno sfociante al Ponte della Maddalena, e l’altro alle falde della collina di Pizzofalcone, non è altro che una cloaca a cielo aperto. È ridotto a un rigagnolo pieno di bottiglie di plastica, spazzatura di ogni tipo, carogne di animali e scarpe vecchie. Dell’antico fiume che aveva le sue sorgenti alle falde del Vesuvio non resta proprio nulla. In esso, oggi vanno a finire le acque piovane ma anche tanti scarichi fognari abusivi delle case realizzate tutt’intorno negli anni del boom edilizio, ovviamente senza concessione amministrative ma poi sanate grazie ai vari condoni. La gestione del Sebeto, fanno rilevare al Comune, è affidata al Consorzio di bonifica Napoli-Volla al quale i residenti della zona periferica di Casoria, quelli dell’area Arpino-Cittadella, versano annualmente una tassa. «Non crediamo però che i soldi che escono dalle nostre tasche e finiscono nelle casse di quell’ente vengano realmente utilizzati per la bonifica di quella che è a tutti gli effetti solo un’autentica palude - fa rilevare Mariano Marino, consigliere comunale ed ex presidente della circoscrizione - Sono anni che combattiamo per il miglioramento ambientale della zona ma il nostro grido di protesta si infrange puntualmente contro un muro di gomma». Con il passare dei secoli il fiume Sebeto, definito il Tevere napoletano da Jacopo Sannazaro, ha subito varie modifiche nel suo percorso, dovute alle eruzioni del Vesuvio ed a movimenti tellurici. Il Sebeto, chiamato dal popolo «sciummitiello», che sembra nascere dal Monte Somma, dalla Grotta detta «Delle Fontanelle del Cancellaro nel fondo della Preziosa», ora è poco più di un fiumiciattolo, quasi privo di acque, usato come canale di scarico anche di alcune industrie. Non ci sono depuratori, anche se la gente paga per questo, «e nemmeno controlli adeguati per individuare chi inquina e crea danni al sottosuolo e alla falda acquifera», fanno rilevare molti residenti di Arpino che a più riprese hanno chiesto alle istituzioni comunali di intervenire in maniera adeguata e appropriata per attivare un percorso di recupero dell’intero corso d’acqua. Richieste insistenti, finora rimaste lettera morta.