«Un socio della cava è parente del boss»
Un «intreccio societario tra imprese dedite alla raccolta e al trasporto dei rifiuti», ma anche «allo smaltimento costituisce l’esempio più emblematico atto ad avvalorare l’esistenza di un cartello imprenditoriale di sicura matrice camorristica, attivo a partire dal 1994 fino ad oggi. Un cartello le cui finalità sono l’aggiudicazione di variegati appalti pubblici relativi alla gestione dei rifiuti partenopea, nonché alla compravendita di lotti di terreno destinati alle discariche dei rifiuti». È il passaggio centrale dell’informativa prodotta dalla Procura antimafia di Napoli nella nuova indagine sulle presunte infiltrazioni della camorra nell’emergenza ambientale e nelle violenze di Terzigno. Eccoli i «segnali» di cui parlavano gli inquirenti napoletani che hanno indotto i pm a canalizzare le proprie indagini verso la pista che porta alla criminalità organizzata dell’area vesuviana. Il quadro della situazione emerge da due informative depositate in Procura. La prima è della Squadra mobile della Questura; la seconda dei carabinieri. Scenari, ipotesi investigative, e non solo. Nelle pagine confluite in un dossier coordinato dal procuratore aggiunto della Dda di Napoli, Rosario Cantelmo, si fa riferimento a circostanze e fatti precisi. Ma anche a nomi. È una radiografia inquietante dalla quale emerge che c’è la mano della camorra dietro la strategia della tensione alimentata negli ultimi giorni a Terzigno. Ed è Terzigno, con le sue due cave - la prima, «Sari», già attiva, e la seconda, «Vitiello», di prossima apertura ma al momento «congelata» per decisione del sottosegretario alla Protezione civile Guido Bertolaso - a far gola alla criminalità organizzata. Ci sono quattro nomi iscritti nel registro degli indagati con accuse pesanti: devastazione aggravata dal metodo mafioso. Spuntano, negli atti d’indagine, anche le dichiarazioni di due pentiti «doc», collaboratori della prima ora: Carmine Alfieri e Pasquale Galasso, che con le loro dichiarazioni hanno consentito di sollevare il velo su vent’anni di storia della camorra a Napoli e in Campania. Nel dossier della Dda è contenuta anche la conferma sui clan che sarebbero coinvolti in questa drammatica vicenda dei raid e delle violenze scatenate contro le forze dell’ordine: Fabbrocino, Pesacane, Giugliano e Annunziata. «I siti di Terzigno, la Sari e la Vitiello - si legge - sono proprietà di due ditte, la Sari srl e la Vitiello. Giovanni Vitiello è considerato contiguo al boss Mario Fabbrocino e conta, in passato, frequentazioni con il clan Pesacane (fonte carabinieri). Tra i soci figura anche Giuseppe De Gennaro, consuocero di Mario Fabbrocino». Da indagini svolte dalla Squadra mobile di Napoli, diretta da Vittorio Pisani, «l’attuale depositario di parte del patrimonio del clan Fabbrocino sarebbe Giuseppe De Gennaro, il quale avrebbe un ruolo predominante nella gestione economica del clan». La polizia lo descrive così: «Un soggetto estremamente scaltro ed equivoco, dotato di raffinata personalità criminale, abile negli interessi economici, che nel tempo ha intessuto stabili legami con amministratori pubblici e imprenditori locali: ha avuto interessi legati nelle attività di smaltimento e trasporti rifiuti attraverso la “Sari” in periodi antecedenti, concomitanti e susseguenti alla famigerata emergenza rifiuti in Campani». Ma c’è di più. Per la Procura «la “Sari”, attraverso De Gennaro, sarebbe uno degli strumenti utilizzati dal boss Mario Fabbrocino per il trasferimento fittizio e fraudolento di beni di provenienza illecita». «Quanto accade in queste ore a Terzigno - conclude la Procura - al di là della comprensibile protesta dei cittadini prefigura un progetto finalizzato a generare condizioni tali da far ricorrere a provvedimenti di estrema urgenza canalizzando iniziative verso soluzioni che potrebbero rimettere in circuito soggetti occulti legati alla criminalità organizzata».