Le fumarole di Maddaloni, la Provincia lancia l’allarme: subito il piano
dopo undici mesi non si ferma la fuoriuscita di gas caustici
Maddaloni. L’altra faccia dell’emergenza discariche. Si mobilita la Provincia contro i siti clandestini dimenticati: quelli che arrivano dal passato e che minacciano, con la fuga degli inquinanti, seriamente le matrici ambientali (aria, acqua e suolo) e bersagliano le persone. Censiti i pericoli, la burocrazia e i conflitti di competenze sono poi più irritanti dei gas caustici: al momento, a undici mesi dai primi rilievi allarmanti, non è stata ancora fermata l’immissione in atmosfera di «solventi aromatici» nei pressi l’area di cava ex-Masseria Monti. Né sono state chiuse le fumarole che liberano in atmosfera vapori di benzene, associati a toluene, etil-benzene e xileni (dati Arpac). E soprattutto, non è stata ancora realizzata (sempre secondo le misure di precauzione urgenti indicate dall’Arpac), «l’inderogabile messa in sicurezza» del sito di stoccaggio abusivo che contiene anche «scorie di fusione e molte altre tipologie di rifiuti speciali sepolti». Non è stato ripristinato nemmeno il «sarcofago di terra» sull’area contaminata posta tra l’’ex-statale 265, la variante Anas Maddaloni-Capua e San Marco Evangelista. Tanto che l’assessore provinciale Umberto Arena, in una settimana molto calda sul versante discariche, ha dato l’avvio agli atti preliminari per una urgente «conferenza dei servizi sul caso Masseria Monti». Un modo per scuotere il torpore istituzionale. A partire dallo «spezzatino di competenze». L’ex-Masseria Monti è un sito messo sotto sequestro dalla Procura. Ricade nel territorio di Maddaloni e quindi è sotto la responsabilità del sindaco. Ma le operazioni di bonifica sono di competenza regionale. Risultato: la totale paralisi operativa. Il dramma è che mancano le risorse economiche. «Soprattutto non ci sono i soldi per pianificare un qualsivoglia intervento – spiega Giancarlo Liccardo di Legambiente Calatia - anche per mitigare i rischi e per questo l’ingegnere Arena ha annunciato un insperato piano di intervento». È l’ultima spiaggia. Il «piano Arena» prevede il coordinamento degli enti competenti e la richiesta di dissequestro dell'area. In alternativa, ottenere l’autorizzazione dalla Procura ad avviare le operazioni di messa in sicurezza urgenti: recinzione del sito e rifacimento delle coperture franate. «Soprattutto – dice Liccardo - l’obiettivo è ottenere l’inserimento del sito nell’ambito del grande progetto di bonifica del litorale domizio-flegreo o nell’immediato all’interno delle operazioni di finanziamento, bonifica e messa in sicurezza de Lo Uttaro». Diversamente, l’area diventerà un cimitero dei veleni permanente. Se finanziato, a medio termine, il piano dell’assessore provinciale, dopo la caratterizzazione del sito prevede la riesumazione dei fusti sepolti e di tutti i veleni stoccati (con trasferimento in discariche autorizzate e susseguente bonifica) oppure le operazioni di «tombare i rifiuti», cioè sepoltura e confinamento definitivo dei veleni. Ipotesi avversata dai comitati civici. «Siamo contrari – dice Antonio Cuomo di Vivibilità - così si rinvia nel tempo l’emergenza, fino alla futura apertura di nuove fumarole, come dimostra il professore Franco Ortolani». Secondo l’ordinario di geologia della Federico II: «Èsemplice coprire la zona esposta all’aria con terreno e vegetazione, dando l’impressione di una superficie sana. Ma lateralmente e alla base i rifiuti non potranno mai essere isolati dall’ambiente circostante. L’unico modo per bonificare, anche la parte che non si vede, è rimuovere i materiali rifiuti. È un’operazione complessa, lunga e costosa».