Raid da manuale prima il blackout poi la guerriglia
Ecco tutte le tecniche dei violenti
Terzigno. Hanno voglia i palestinesi del Vesuvio a spergiurare che la loro Intifada è spontanea, che non c’è regia, che è il popolo a gridare basta, che sono ragazzi, teste calde, violenti nati, emarginati di periferia. Hanno voglia, certo. Ma le tecniche di guerriglia messe in scena non solo alla rotonda Panoramica, ma in tutte le strade che portano alla Sari, dimostrano una pratica che non s’impara dalla sera alla mattina. Da tre notti, ad esempio, poco prima del tragico tiro a bersaglio dei razzi e dei sassi, delle molotov e dei fuochi d’artificio, è andata via improvvisamente l’illuminazione. È stato un segnale doloso, ma chiaro, per passare all’azione. Nelle prime notti degli scontri, invece, sulla rotonda, all’imbocco di via Promiscua che scende giù al centro di Boscoreale e a Boscotrecase, c’era un grande riflettore che si accendeva quando le luci si spegnevano. Era un modo per controllare la piazza e per intralciare la fuga dei rivoltosi quando cominciavano le cariche, abbagliandoli. I violenti, i facinorosi, i teppisti, loro insomma, poco dicono e molto nascondono. Mostrano sul campo quello che sanno fare. Le notti buie e tempestose di Terzigno sono una grande palestra. Si esibiscono davanti ai boss, spiega la gente del paese. Sono prove di iniziazione. In altri contesti, sarebbero romanzi di formazione. Qui è solo deformazione. Si muovono allo stato brado, apparentemente. Ma la regia c’è, eccome, anzi c’è più di una regia. In tutto saranno un centinaio, con prevalenza di giovani, ma ci sono pure molti adulti, che sanno come indirizzarli, che ne proteggono la fuga. Bendati, sciarpe, passamontagna, caschi, scooter con targhe coperte. Pronti con i telefonini. Evitano di venire a contatto diretto con la polizia, racconta chi li fronteggia. Lanciano sassi e razzi da lontano, a distanza di sicurezza, quando agenti e militari caricano. E da qualche giorno anche i fuochi d’artificio, che prima venivano fatti esplodere in aria come per un’ironica festa, sono ora sparati ad altezza d’uomo per colpire, ferire. Ma la guerriglia, ormai, non viene solo di notte. Si costruisce durante il giorno. Il fronte spartano è dei ragazzi, ma fino a che arrivano i camion e le camionette, tutte le strade sono delle officine per tirare su barricate, tutti gli incroci possono diventare Termopili. Qui si vede, davvero, una protesta di popolo, che coinvolge anche chi di fronte ai manganelli esita, che con poliziotti e carabinieri ci va persino a parlare, a discutere, a ripetere all’infinito che la discarica li uccide, a invitarli a solidarizzare con la protesta, per passare poi, improvvisamente, agli insulti. Tutto va bene per impedire il passaggio della monnezza e delle «guardie». Uomini, donne, anziani e bambini, come castori di terra trascinano un obolo per frenare le carovane: un ramo, uno pneumatico, un televisore reso inutile dal digitale terrestre. Le montagne di terra e di mattoni rotti vengono portate con camioncini direttamente dai cantieri edilizi. È tutto un mettere e levare, ma anche bruciare. Le tracce dei roghi azzellano l’asfalto. La loro puzza si mescola con quella che suppura nella notte, dopo essere calata dalla schiena del Vesuvio, tra i vicoli di pietra nera delle case antiche e ristagna, nebbiosa, fino ad alba inoltrata nei cortili delle palazzine abusive e che mai saranno condonate. La quiete prima della tempesta.