La polveriera tra cortili e vicoli «Via da qui o moriremo tutti»

Kefiah, volti mascherati e scooter con le targhe coperte
22 ottobre 2010 - Pietro Treccagnoli
Fonte: Il Mattino

Terzigno. «Dotto’, qua succede l’infinito». L’annuncio, di prima mattina, era chiaro, nonostante la sfumatura poetica. È stato un inferno senza fine, certo. Chi sta dentro in questo quadrilatero di blocchi senza sbocchi, in questo cerchio di fuoco, vuole guardare oltre, oltre il Vesuvio, oltre quel doppio cono che qui, a Terzigno e Boscoreale, è rovesciato, come un simbolo ribaltato, come una cartolina avvelenata. Ma chi vive sulla schiena sbagliata del «formidabil monte» vede solo una lunga fila di camion, sente la puzza e si difende. La ginestra leopardiana se la sogna. L’infinito, appunto. Sassi contro manganelli, barricate contro camionette, invece. L’annuncio dell’altra sera («Cava Vitiello sarà la seconda discarica») ha fatto cadere l’ultimo muro di illusioni. E ha fatto da collante per tutti gli schieramenti del fronte del rifiuto: le istituzioni, i Comitati più o meno politicizzati, le mamme vulcaniche, le parrocchie, ma soprattutto la gente comune disperata. Perché, questa del Vesuvio, non è una rivolta fomentata o eterodiretta. Nasce dal basso, dalla pancia. Ed erutta da un cratere di speranze disattese, da un continuo «stop and go», da un «si fa e non si fa». Quando la colonna dei blindati sfonda la barricata di frasche, televisioni, porte a specchio e materiali edili vari, per fare da scorta ai camion diretti alla discarica Sari, da uno dei cortili di un incrocio di via Passanti, proprio agli incolpevoli autisti arriva un insulto di plastica napoletanità: «Tu vai a scaricare la monnezza e tua moglie sta a casa con le cosce aperte». Arriva da un anziano signore dall’aspetto mite e modesto che senza lo scudo della folla si sarebbe morso la lingua e avrebbe taciuto, schiacciato nel rancore. Ma Terzigno e Boscoreale ieri sono stati il palcoscenico della banalità della violenza. A lanciare sassi e bottiglie, a far scoppiare petardi e a incendiare compattatori, a ferire agenti e carabinieri, sfasciando auto, erano ragazzi e adulti dalla faccia comune, con la maglietta del Napoli e che poi sono andati a vedere la partita in tv. È gente di terra, questa di Terzigno e Boscoreale, abituata a difendersi. E la guerriglia di via Passanti e della rotonda Panoramica diventa l’occasione per mostrare muscoli e cervello, come un videogioco che esce dallo schermo del computer, una sorta di gigantesca «Grand Theft Auto» dove il sangue scorre davvero e dove le fiamme bruciano la pelle. Coprono le facce con sciarpe e Kefiah palestinesi e le targhe degli scooter con cartone e nastro adesivo. Si scambiano messaggi con i telefonini. Sono completamente padroni del territorio, di vicoli e strade vicinali che nelle ore cruente della battaglia sono vie di fuga e nascondiglio. «Anche se la polizia viene a picchiarci fin dentro i cortili» commenta una signora. «E loro dovrebbero difendere noi, non la monnezza». Negozi e officine sono chiusi per la serrata. Spiccano i cartelli «Vendesi». «In questi mesi sono aumentati» spiega una donna. «Qui abbiamo solo due scelte o morire o andare via». Incalza il marito, guardando sconsolata la strada martoriata dalla battaglia, tra roghi e monnezza spicciola: «Siamo in Bosnia». Ma non c’è nessuno che condanni la rivolta. Questo ne fa una protesta popolare, di massa, che renderà il groviglio Terzigno molto difficile da sbrogliare per polizia e istituzioni. Tra i ammutinati contro la legalità al veleno ci sono le facce dalla provincia che ai tempi di Michele Prisco era addormenta. Il risveglio, sessant’anni dopo, è stato brusco, terribile. Sarebbe stato meglio restare a letto, sebbene, talvolta, il sonno della regione genera mostri. È un incubo che ha sciolto la lava e ha fatto svellere dalla terra le dure pietre nere, trasformandole in armi. È disperazione che diventa guerriglia, nella quale i gradassi spadroneggiano. Non c’è camorra, lo hanno ripetuto magistrati e prelati. E pure il ruolo dei Comitati policitizzati appare molto marginale: sono più occupati a documentare e a fare legittima controinformazione che a menare le mani. Le istituzioni provano a buttare acqua sul fuoco e a cercare un tavolo politico, anche quando tutti lo ribaltano. «Noi non vogliamo un centesimo» sbotta il sindaco di Boscoreale, Gennaro Langella, in piazza Pace (di nome, ma non di fatto). «Vogliamo vivere così, con la nostra povertà e la nostra dignità. Non esistono compensazioni per i veleni cancerogeni che ci fanno respirare». E in questo inferno infinito le forze dell’ordine rischiano di diventare il capro espiatorio, esposti all’ira popolare per difendere una legge che qui leggono come un sopruso.

 

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