Nella terra del boss nessun bidone tossico, solo ferraglia
Castel Volturno. L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia aveva effettuato una magnometria, un’indagine del sottosuolo che misura le anomalie del campo magnetico originate da materiali ferromagnetici (ossia con grande capacità di magnetizzarsi) e che viene utilizzato per risalire alla presenza di discariche sotterranee. I sette ettari della tenuta confiscata al camorrista Michele Zaza, oggi trasformata da luogo mafioso a seme di speranza con la nascita della cooperativa Terre di Don Diana, erano stati percorsi in lungo e in largo e in un’area di circa cento metri quadrati era emersa un’ alterazione del campo. Un dato da elaborare ed interpretare imputabile a diverse cause, ma - sarà la cronaca degli ultimi anni che parla di tonnellate di rifiuti sepolti tra le province di Napoli e Caserta, saranno le immagini tragiche riproposte dal cinema, come le colonne di fusti tossici in Gomorra, la reazione è stata da subito di pessimismo. Del resto poi, il posto ha qualche precedente. A pochi metri dalla fattoria, dove presto sarà prodotta la mozzarella biologica, ci sono le discariche Sogeri e Bortolotto, non estranee ai circuiti illeciti dei rifiuti. Poi qui i clan camorristici hanno sempre spopolato e quindi pensare male è forse anche naturale. E così i tavoli di concertazione fra Regione, Provincia, Comune e prefettura, quasi rassegnati all’esito peggiore, avevano disposto uno scavo nell’area «rossa». Due giorni fa i tecnici dell’Arpac, l’agenzia regionale di protezione ambientale, e quelli del Comune castellano sono stati sul luogo. Giunti a una profondità di quasi tre metri, ecco trovato il motivo dell’anomalia. Non fusti metallici, non rifiuti pericolosi e depositati dalle ecomafie. No, solo qualche pezzo di ferro arrugginito dimenticato nel terreno chissà quando e chissà da chi. Una dimenticanza che ha creato un allarmismo, ma che soprattutto ha dato ancora una volta prova del clima di tensione che si respira in Terra di lavoro.