Sedici anni di emergenza: si rischia un crac da 300 milioni
Dovrebbe essere pubblicato nelle prossime settimane il bando di gara per avviare il pagamento dei debiti accumulati in sedici anni di emergenza rifiuti, ma al momento in cassa mancano i fondi per pagare i creditori. Il direttore generale dell'unità stralcio Luciano Cannerozzi De Grazia, è in attesa di indicazioni da parte dell'amministrazione statale. Il sottosegretario Bertolaso parlò in Parlamento di un buco di un miliardo e duecento milioni, la Corte dei Conti riferisce di un possibile contenzioso che tra dare e avere che viaggia intorno ai due miliardi. I crediti accertati, a quanto pare, sono di circa trecento milioni che dovrebbero essere pagati dai Comuni. Inoltre bisognerà incassare dalla ditta costruttrice del termovalorizzatore (la Fibe – Fisia) i circa novanta milioni anticipati per concludere i lavori. Tutto il resto è ancora da vedere. Anche perché, come spiega Cannerozzi De Grazia, i soldi liquidi non ci sono in cassa e quindi l'intero iter previsto dalla legge del 26 febbraio 2009 è stato enormemente rallentato. La norma varata per chiudere l'emergenza rifiuti stabiliva che la «struttura stralcio» entro trenta giorni dalla sua costituzione avviasse le procedure per l'accertamento della massa attiva e passiva accumulata dai commissariati prima e del sottosegretariato dopo. Non solo: la stessa organizzazione doveva accertare i crediti vantati nei confronti della società che ha costruito i Cdr e il termovalorizzatore. Entro gli stessi trenta giorni il presidente del consiglio doveva varare un decreto per stabilire le modalità e i termini per la presentazione delle istanze da parte dei creditori. Di tutto questo è stato fatto solo l'accertamento della massa attiva inviata al ministero dell'economia. Per il resto siamo quasi a zero. E non certo per inerzia del direttore Cannerozzi De Grazia. Il problema è molto più grave: i fondi non ci sono. Per due motivi. Il primo: in sedici anni sono stati spesi molti più soldi di quelli che sono stati incassati e, soprattuto, sono stati accumulati interessi sul debito e parcelle per gli avvocati. Il secondo: gran parte dei 300 milioni che sarebbe possibile recuperare dovrebbe arrivare dai Comuni che non li ha. «Il nostro – spiega Cannerozzi De Grazia – è stato un lavoro improbo. Abbiamo dovuto cominciare a raccogliere gli archivi che erano sparsi sul territorio per cercare di capire che cosa fosse successo nel corso degli anni, Ora speriamo di riuscire a incassare i crediti». Ogni giorno la fila di chi chiede soldi continua ad allungarsi. La struttura, tranne proroghe dell'ultimo momento, cesserà di esistere il 31 gennaio del prossimo anno. Per quella data la situazione dovrà essere in qualche modo affrontata. Intanto Cannerozzi De Grazia assicura che, tranne imprevisti, nelle prossime settimane partirà almeno il bando per permettere ai debitori di farsi avanti. Non è migliore la situazione dei consorzi di bacino: una decina di Comuni sono pronti a uscire dalla struttura unica di Napoli e Caserta. Due, Sparanise e Piedimonte Matese, lo hanno già fatto. Il commissario liquidatore, Gianfranco Tortorano ha scritto più volte al governatore Caldoro e ai presidenti delle Province e ai prefetti delle due Province paventando possibili problemi di ordine pubblico.