Protesta in piazza con nove capi
In questo ribollire arriva il nuovo padrone, e tutti vogliono vederlo, insultarlo, applaudirlo, farsi sentire. Mercoledì in piazza Municipio sarà la miniatura del dolore, della follia e delle contraddizioni di Napoli. Otto cortei autorizzati e un presidio, simili e diversi al tempo stesso.
Con l'incognita di altre manifestazioni dell'ultima ora, perché qui è provvisoria anche la protesta. Uno accanto all'altro, tolte transenne e blindati di guardia lo spazio non è poi molto, ci saranno gli operatori socio-sanitari che si sentono truffati da Bassolino, i comitati contro la discarica di Chiaiano e quelli che spingono per la raccolta differenziata, i disoccupati storici che con cadenza triennale bloccano Napoli, i 237 dipendenti dei consorzi di bacino, stanchi di essere pagati per non fare nulla ma desiderosi di rimanere nel settore pubblico, divisi però in due tronconi non dialoganti, tesserati Cisal e resto del mondo. Rifiuti e lavoro, le due grandi questioni di Napoli, e poi i Rom scacciati con il fuoco da Ponticelli, qualche associazione anticamorra. In piazza ci sarà la rappresentazione plastica di una città senza controllo e fiducia che allinea i suoi drammi, grandi e piccoli che siano. Non è un caso che tutti, ma proprio tutti coloro che hanno fatto domanda in questura per scendere in strada, abbiano chiesto un incontro, con Silvio Berlusconi o con qualcuno dei suoi ministri. «Sarà come una enorme cassa di risonanza» si augura Francesco Della Femmina. È il portavoce degli Operatori socio-sanitari napo-letani, categoria che a suo dire è stata obbligata dalla Regione a frequentare corsi di formazione che duravano mille ore e costavano duemila euro, per poi scoprire che in quel settore, con quella qualifica, non c'erano posti di lavoro. «Qualcuno ci deve ascoltare».
Lo dicono anche quelli della Rete campana rifiuti e ambiente, che sotto varie denominazioni marceranno con i centri sociali. Vengono considerati il partito del no a qualunque discarica o termovalorizzatore, i duri e puri della monnezza. «Tutte queste sigle che si troveranno in piazza — dice Mario Avoletto, antagonista di lunga data — non sono altro che il riflesso del caos della città. E i rifiuti sono il paradigma della crisi di Napoli e della democrazia in generale. L'unico modo per venirne a capo non è l'ordine pubblico, ma dare ascolto alla gente, cosa che qui non avviene più da tempo». In parziale disaccordo, il Coordinamento regionale rifiuti — dall'assise di Marigliano ai Meet up di Beppe Grillo — si limiterà ad un presidio, in linea con un atteggiamento più intellettuale. Sono quelli che studiano, il loro «sì» è condizionato ad una vera raccolta differenziata, alla costruzione di impianti a freddo.
L'occasione è unica, e quindi sono possibili anche le resurrezioni. Dopo un silenzio durato qualche anno, si fanno nuovamente vedere gli Eurodisoccupati napoletani, cinquecento iscritti che non davano più notizie di sè dal 2006. I senza lavoro del centrodestra, guidati dall'eterno Aminto Cesarini, dipendente comunale addetto al servizio fogne. Un perfetto carneade fuori dai quartieri di Mercato, San Carlo all'Arena, Ponticelli. Ma in quelle strade è una specie di leggenda, decenni trascorsi nel ruolo di Masaniello della disoccupazione organizzata.
Gli Eurodisoccupati sono la sigla più vetusta di quell'arcipelago tutto napoletano di sottoproletariato che nel tempo da «corsista» è diventato «lavoratore socialmente utile», fino alla diaspora odierna in miriadi di definizioni contrattuali. Avevano cominciato vent'anni fa, sono ancora qui, autentici professionisti della disoccupazione organizzata. Sono quelli delle lotte dure, negozi e autobus bruciati, strade sbarrate, ogni tanto si massacravano di botte tra loro. Oggi come allora, chiedono «impieghi stabili e sicuri nella Pubblica amministrazione». Non sembra aria, ma la truppa di Cesarini, ex candidato del centrodestra al Comune, rivisto nei cortei contro la discarica di Pianura, ci spera comunque.
Accanto agli Eurodisoccupati, separati ma vicini, l'ultrasinistra del Sindacato lavoratori in lotta, e poi il Coordinamento lotta per il lavoro, guidato da Paola Bianco, ex operatrice di call center. Le sue parole danno la misura della guerra tra poveri in atto, rifiuti contro disoccupati, a contendersi l'attenzione dei nuovi governanti. «La monnezza ha messo da parte la vera emergenza di questa città, che è quella del lavoro. Comune, Provincia e Regione hanno responsabilità enormi. Domani ne approfittiamo per cambiare interlocutore, per farci conoscere e sentire». È una piccola fiera del disagio e della tensione sociale quella che domani si mostrerà a Silvio Berlusconi, un bazar dove manca una cifra comune e l'unità di intenti sembra scomparire anche tra i più deboli.
L'unico ad ammetterlo è Abou Bakar Soumahoro, ivoriano, della Rete antirazzista. «Dietro ad ognuno di questi problemi ci sono drammi umani, ferite profonde degli individui e della città. Ma in questo momento sembra che nessuno riesca a parlare un linguaggio comune, a capirsi». Almeno, dice anche lui, proviamo a farci sentire da chi sta fuori. Si scrive Napoli, si legge Babele.