Riciclo d'autore, così l'immondizia diventa bellezza
A fronte di una città avvilita per i cassonetti dell’immondizia che trasbordano e per il ritorno di cumuli di rifiuti, anche a bordo strada tanto da costringere i passanti a uno slalom tra sacchetti, cartoni e quant’altro come nei giorni più bui dell’emergenza di due anni fa, c’è anche chi, in tutto questo, trova spunto di riflessione creativa. Gli artisti, per esempio. È già accaduto in passato e potrebbe succedere ancora, difatti, che da scarti industriali e domestici nascano opere d’arte. Ne sa senz’altro qualcosa il tedesco Gerd Rohling, già nel 1995 protagonista a Napoli, nelle sale del Museo Archeologico con «Plastiche metamorfosi»: una raccolta di frammenti di materiali plastici trovati in giro per la città e lungo i litorali flegrei e esposti in bella mostra, alla pari dei più pregiati manufatti della classicità antica, nelle vetrine del museo altrimenti destinate ad accogliere oggettistica d’età greco-romana. Oggi, quindici anni dopo, una bella mostra all’Hamburger Bahnhof, l’ex stazione ferroviaria di Berlino trasformata in museo d’arte contemporanea (dove trovano ospitalità anche opere di autori di peso quali Anselm Kiefer, Joseph Beuys, Andy Warhol, Roy Lichtenstein e altri artisti di calibro internazionale), celebra il lavoro di Rohling: in teche di cristallo frammenti di bottiglie di plastica, contenitori di detersivo, boe marine, tutti corrosi da sole e salsedine, raccolti a Napoli poi tagliati ad arte e illuminati da faretti soffusi, richiamamo la bellezza dei vetri pompeiani (cui incredibilmente somigliano davvero). Qualche tempo prima, a rovistare nella spazzatura, ci pensava pure il neodadaista texano vicino alla Pop Art Robert Rauschenberg, noto ai più per quel suo inconfondibile modo di rapportarsi a rottami e oggetti d’uso quotidiano facendo di cartelloni pubblicitari e segnaletica stradale raccattati nell’immondizia delle opere d’arte. Che fossero di Londra, New York o Amsterdam, per lui le pattumiere urbane erano inesauribile alimento e fonte d’ispirazione per la sua creatività. Tanto che, correva l’anno 1987, quando Rauschenberg non potendo resistere al fascino di un lavoro nato proprio dai rifiuti nostrani (a Napoli, «quel che trovi per strada è proprio immondizia» spiegava in un’intervista a Michele Bonuomo) realizzò «Albino Spring Glut (Neapolitan)»: un assemblage in ferro esposto nella galleria di Lucio Amelio in occasione di una personale dell’artista, poi aggiudicato all’incanto dalla casa d’aste Blindarte (alla cifra record di 540mila euro) in una sessione nella primavera 2008, giusto nel pieno della prima emergenza rifiuti in città. Le periodiche defaillance partenopee, però, non stimolano soltanto la creatività degli stranieri. Sempre nel 2008, parte da Salerno (dove raccolta differenziata e termovalorizzatori funzionano e, dunque, la spazzatura non è un problema ma una risorsa), parte un appello a uscire dall’emergenza rifiuti sull’onda della creatività per iniziativa di Emanuela Adinolfi, Letizia Magaldi e Rocco Orlacchio, ideatori di «Fate presto. 5 artisti per 5 curatori in emergenza», un progetto che - riprendendo il titolo di una prima pagina de «Il Mattino» all’indomani del terremoto del 1980 e resa esemplare da Warhol che la trasformò in opera d’arte - ha invitato autori e curatori a produrre site specific sul tema degrado sociale-ambientale. Protagonisti ne sono stati le napoletane Mariangela Levita e Giulia Piscitelli con il peruviano Jota Castro, il collettivo parigino Claire Fontane e l’havanero Carlos Garaicoa. A ribadire i bisogni che da etica si sanno estetica, oltre l’arte anche il fotogiornalismo: con lo scatto del reporter Mario Laporta scelto dal quotidiano britannico Guardian per illustrare una riflessione sulla necessità di riciclare i rifiuti non per salvare il pianeta ma per liberare quella parte di se stessi che ne resta in schiavitù