Sindaci, parroci, nonne e ultrà mascherati tutti in trincea per dire no alla nuova discarica
Terzigno. Le prime ombre della sera riempiono la rotonda di via Panoramica di centinaia di persone e di migliaia di mosche aggressive, eccitate e moleste. Un incrocio, un’aiuola con un albero, un gazebo che fa da presidio e tinello, sedie, bottiglie d’acqua e vista su un cumulo di monnezza indifferenziata che riempie di puzza queste strade che salgono e scendono dal Vesuvio. È schifezza trasportata da un compattatore che gli insorti del vulcano hanno costretto a sversare sull’asfalto, un monumento ai veleni. Dentro c’è di tutto, fetenzia mista di carcasse, legna e stracci, di ossa e chimica che percola inesorabile. Imperterrito un signore fa footing, dalla strada che porta a Pompei va verso Boscotrecase. Un’apparizione incongrua che vuole indicare il percorso della normalità che è lontana all’orizzonte. Le voci si rincorrono e si sovrappongono, il giorno dopo, quando i riflettori delle televisioni si sono accesi e hanno infiammato gli animi più dei dieci camion (gli ultimi due l’altra sera) bruciati in questa settimana da chi non vuole l’apertura della nuova discarica nella Cava Vitiello, nominalmente nel territorio di Terzigno. È tutto scritto in una legge (la 123 del 2008), ma la gente non ci sta più, a cominciare dai sindaci di centrodestra. La monnezza ha compiuto il miracolo della moltiplicazione delle opposizioni. Persino nel Movimento Difesa del Territorio Area Vesuviana, si battono, fianco a fianco, destra e sinistra. Gennaro Langella, il sindaco di Boscoreale (il paese che da mesi e mesi è investito dalla puzza che scende giù dalla montagna fredda) ha annunciato per questa mattina uno sciopero della fame, sotto una tenda della Protezione Civile, e ha ricordato il lutto cittadino previsto giovedì in sei Comuni: Terzigno, Boscoreale, Boscotrecase, Trecase, Torre Annunziata e Pompei. La sindaca di Boscotrecase, Agnese Borrelli, guida una giunta di centrodestra e abita a 50 metri dalla discarica Sari, ha toni molto barricadieri. «Faremo una guerra pacifica con le fasce tricolori» proclama «fino a che il governo non cambierà la legge. Basta togliere due parole ”Cava Vitiello”, perché abbiamo già dato». Ma perché vi siete svegliati adesso? «Abbiamo creduto a chi ci diceva che non sarebbe mai stata aperta». Promesse, illusioni. E le infiltrazioni camorristiche di cui ha parlato persino il sottosegretario Alfredo Mantovano? «Ci descrivono come camorristi», spiega la sindaca «perché così conviene a loro. Siamo brava gente, ci ha visti?». Effettivamente le facce sono miste: c’è la nonna con il nipotino in braccio, il politico locale, la mamma e il figlio con lo scooter, curiosi, giovani politicizzati, qualche ultras, ragazzi con le mascherine, una bionda con i tacchi a spillo. Lo stesso popolo di Pianura e di Chiaiano, tra i quali s’infiltrano quelli che vengono descritti come i violenti sciolti, i vandali. Ma chi incendia i camion? Giacomo Acunzo, un giovane dei comitati, fisico robusto e barbetta come il cantante del Banco, è drastico: «Sono teste calde, giovani esasperati». E nessuno riesce a controllarli? «E come si fa? Ha visto quanta gente c’è?». La guerra alla discarica coinvolge almeno quattro paesi (Terzigno, Boscoreale, Boscotrecase e Trecase, tre amministrazioni di destra e l’ultima di sinistra), una comunità di circa ottantamila persone. Ognuno ha la sua protesta e tutti hanno la loro storia, piccola o grande da comunicare. Nei primi giorni ha persino sfilato con tanto di crocifisso il parroco di Boscoreale, don Alessandro Valentino. Luigi, che vive proprio a via Nespole della Monaca, la strada che porta alla discarica, ha annunciato pure lui uno sciopero, quelli della dialisi, mentre mostra delle capsule metalliche dei lacrimogeni raccolte l’altra sera: «Ecco cosa hanno sparato». La polizia vigila tranquilla, dietro gli sbarramenti. Ma l’aria è pesante, aleggia aria di scontri. Solo l’alba potrà dire che cosa la notte nascondeva nel suo ventre. Alle otto della sera, comunque, quando è ormai buio comincia un’assemblea pubblica. Al presidio sono arrivati gli uomini, i commercianti che hanno chiuso i negozi, lavoratori e impiegati. Qui avevano promesso un sito di stoccaggio, portano il tal quale, gridano. E siamo nel parco del Vesuvio. Già, un parco con dentro uno dei simboli di Napoli a svettare sulla monnezza. E siamo, ovviamente, in piena sindrome «nimby», non nel mio cortile: qui c’è il Lacryma Christi, a Chiaiano c’erano le ciliegie della Recca, a Giugliano la mela annurca. Dovunque ci sono case, per lo più abusive, alla faccia dei vincoli, dove si vive tappati in casa per sfuggire alla puzza e non beccarsi asme e allergie. Tutt’attorno alberghi e ristoranti per feste e matrimoni che battono la fiacca in tempi di monnezza e crisi economica. Qui, gridano, portano i rifiuti da tutta la Campania. «Noi facciamo la differenziata» spiega Francesco Orlando, un commerciante di Boscoreale «e ci portano l’indifferenziato». La discarica Sari si esaurirà nei prossimi mesi. Si sarebbe andati anche oltre le 750mila tonnellate previste, almeno del doppio. Cava Vitiello è molto più grande. Potrebbe aprire contenere 15 milioni di tonnellate, ma promettono di metterne «solo» quattro o cinque. Per molto meno c’è stata la guerriglia.