Un anno dopo Cuma balletto di cifre sull’inquinamento
Dal Garigliano al Sarno. Una lunga sequenza di veleni, polemiche, promesse tradite. Soltanto delusioni nella storia dei depuratori costieri di Caserta, Napoli, Salerno. Guasti a catena, vertenze sindacali, appetiti criminali, emergenza ambientale senza tregua. Il blocco del vetusto impianto di Cuma, l’anno scorso, provocò la paralisi delle attività turistiche, della pesca, dei precari sistemi economici locali. Miliardi di vecchie lire sperperati dalla Cassa per il Mezzogiorno nel corso di quattro lunghi decenni. Ancora più disastrosa, se possibile, la gestione amministrativa regionale degli ultimi anni. Confusa la mappa delle inefficienze locali. Nei Comuni della fascia costiera vesuviana e sull’opposta sponda del promontorio cumano i punti di maggiore contrasto. Dalla Regione continuano ad arrivare precisi bollettini di garanzia sulla sicurezza del mare nelle più importanti località turistiche balneari e delle isole. Ma i riscontri delle strutture di sorveglianza scientifica dicono esattamente l’opposto. E i risultati delle analisi effettuate in questi giorni sui campioni di mucillagine raccolti nel golfo porteranno certamente elementi di ulteriore preoccupazione. Basta una fase di stagnazione (come quella provocata dal caldo torrido nei giorni scorsi) per far salire l’ideale termometro dell’inquinamento ai massimi livelli della pericolosità e dell’allarme ambientale. Un’anomalia, come dicono gli esperti, diventata nel golfo di Napoli drammatica regolarità.