Pansa: troppi ritardi, senza impianti è il caos
Turisti a zonzo, un gruppo di immigrati che tamburella sui bonghi l’«inno del rifugiato», i clacson del solito ingorgo in sottofondo, un camion dell’Asìa (vuoto) si avvia verso Pizzofalcone. Il Plebiscito è Napoli, il prefetto Alessandro Pansa si affaccia e rivede i suoi 1.300 giorni a Napoli. Tanti. Abbastanza per averla vissuta e capita.
Ma è cambiata?
«Sicuramente e in meglio. Anche se c’è sempre quella palla al piede... L’illegalità diffusa».
Parcheggiatori abusivi, auto in terza fila, i rifiuti, la criminalità?
«C’è qualcosa di più pericoloso. Tra i cittadini e chi gestisce i servizi c’è l’interposizione di un sistema affaristico-politico che si intromette, media, e spesso allontana i cittadini dalla legalità. Un’intermediazione grave. Qui non si chiede in quale ufficio si rilascia un certificato, ma chi conosci all’anagrafe».
Giudizio negativo e quasi ineluttabile?
«No, perché Napoli è diventata una città modello. Che ha intrapreso una strada nuova su tanti fronti, ha affrontato e risolto emergenze, ha avviato strategie importanti sul fronte del lavoro nero, della sicurezza, della trasparenza degli appalti. E ora ha bisogno di continuare ad essere guidata e accompagnata su questa strada che già adesso la vede i netto miglioramento rispetto a tante altre realtà italiane e del Sud».
Ma come un peccato originale, sulla strada del riscatto, ecco di nuovo montagne di rifiuti. Cosa sta accadendo?
«Mi sembra che in questa situazione tutti lamentino un problema economico-finanziario. Ma non è qui che si pagano le tasse più alte? Come mai i soldi non ci sono? C’è qualcosa che non va, vuol dire che i soldi vanno da qualche altra parte. Detto questo sull’emergenza delle ultime settimane è soprattutto un problema aziendale. Come prefetto posso convocare tutte le riunioni che voglio ma sono problemi dell’Asìa, di organizzazione interna all’azienda. Se il Comune vuole sdoppiare la società il prefetto può poco».
Ma lo sciopero dei dipendenti ha riaperto vecchie ferite e rimesso in discussione l’intero piano che l’aveva trascinata fuori dall’emergenza.
«Effettivamente si registrano gravi ritardi nella messa a regime del piano. Mi riferisco agli impianti da realizzare, ai termovalorizzatori. Bisogna rispettate la tempistica dettata dal decreto del governo. È un obbligo e anche una soluzione, perché le discariche vanno ad esaurimento e rischiamo davvero di riprecipitare nell’emergenza se non c’è uno scatto. Bisogna stare molto attenti: ora sarebbero letali altri contraccolpi sul piano dell’immagine, il rischio è di rafforzare l’idea di negatività che la città non riesce a cancellare».
Parlava di miglioramenti evidenti. Anche sul fronte della criminalità?
«Molti clan sono stati decapitati, il trend dei reati è in diminuzione su tutti i fronti a cominciare dal racket. Questo non vuol dire che il problema è sparito. Anzi ora siamo in fase delicatissima e pericolosa. Ci sono spazi liberi che dovrebbero essere riempiti da legalità e civiltà, ma non sta accadendo. Così come se c’è più sicurezza in città, in questo momento non viene percepita come reale. Siamo più deboli a causa della crisi economica e della disoccupazione, c’è il rischio di creare potenziali delinquenti».
Quartieri più sicuri e delitti smascherati anche grazie alle telecamere.
«Lo sblocco del piano delle telecamere in tutta la città è fatto positivo, ma bisogna realizzare l’intero piano con la centrale unica. Un progetto complesso ma che finalmente è partito e va ad integrare gli altri sistemi di videosorveglianza già in funzione».
Più sicurezza, più imprese, più sviluppo?
«Oggi le imprese possono venire a investire a Napoli. Rispetto ad altre aree del Sud siamo molto migliorati. E non è un caso che Napoli sia diventato un modello sul fronte della sicurezza sul lavoro, della trasparenza degli appalti (stazione appaltante), sul lavoro sommerso. Parliamo di “best practice”. Il modello che abbiamo avviato come Prefettura sul lavoro nero e sulla sicurezza sul lavoro è stato esportato in tante altre realtà italiane. Cominciammo con il protocollo sulla sicurezza nel porto. Dalla terribile tragedia che ci fu ad oggi non si sono più registrati incidenti gravi. Abbiamo avviato un percorso virtuoso, con un sistema che è gestito dai lavoratori e pagato dai datori di lavoro».
L’altro modello riguarda gli appalti.
«Oggi è legge, ma il nostro protocollo sulla legalità negli appalti è stato adottato intanto anche da altre città. Così si blinda l’intero iter, dalla cantierizzazione di un’opera alla messa in attività della stessa».
In Campania sorgerà un «Cie», centro di identificazione e espulsione immigrati?
«Questa struttura sarà utilissima. Non sarà a Napoli ma nel Casertano. Servirà a gestire i flussi e a distinguere tra chi commette reati e chi è regolare».
Lei è anche commissario per l’emergenza rom. Anche su questo fronte Napoli modello?
«Stiamo attrezzando le nuove strutture che accoglieranno i rom napoletani eliminando i loro campi invivibili. Non saranno delocalizzati ma spostati nelle vicinanze dei loro insediamenti in strutture recuperate o confiscate».