Pozzi contaminati e alberi di pesche viaggio choc nella «terra dei fuochi»
Così i fanghi uccidono l'agricoltura
Giugliano. La strada della vergogna comincia ai Tre Ponti di Parete ed è presidiata da due prostitute nigeriane che aspettano i clienti tra detriti di ogni genere, lattine, bidoni e pneumatici. Dai qui fino a Castelvolturno è tutto un susseguirsi di rifiuti e alberi di pesche, balle e percoche, carcasse di auto bruciate e albicocche: 210 ettari pieni di frutta e spazzatura. «La cittadella dell’immondizia sta uccidendo una delle zone più fertili e ricche della Campania», spiega il direttore di Legambiente, Raffaele del Giudice. E inoltrandosi nella terra delle discariche è difficile dargli torto. Da località Tre Ponti la strada asfaltata corre lungo i siti avvelenati dalla camorra. Ma qui hanno nomi e cognomi i signori dei veleni: Gaetano Vassallo, Cipriano Chianese, Raffaele Giugliano. Tutti legati ai Casalesi e ai Mallardo. Inoltrandosi sulla sinistra c’è Masseria del Pozzo: una montagna di terra, rifiuti, fanghi tossici, acidi di ogni tipo. Almeno a sentire Vassallo che da quando si è consegnato allo Stato ha raccontato venti anni di sversamenti illeciti. Quello che si vede ora è solo una terra brulla e grigiastra, un altopiano sterile. Di fronte alberi rigogliosi e pieni di pesche che tra un paio di mesi saranno pronte a finire in tavola. Più avanti ecco la Resit di Chianese, quella sulla quale sono state completate le analisi del geologo Balestri, il perito della Procura: a separare le due discariche un campo appena irrigato con l’acqua velenosa dei pozzi dove sono finiti tricloro e tetracloro etilene, sostanze cancerogene. E non c’è assolutamente da meravigliarsi visto quello che ha raccontato Vassallo: «Ricordo che furono smaltiti nella mia discarica - ha spiegato quando con gli inquirenti girò nelle campagne alla ricerca dei bidoni sotterrati - il corrispondente di 20 bilici, per circa 6mila quintali provenienti dall’Acna di Cengio». La mia discarica, aveva proseguito Vassallo, non era attrezzata per smaltire questo tipo di fanghi «e io non feci nulla per adeguarla». La maggior parte dei veleni finì, però, da Chianese. Nei primi anni Ottanta, il boss dei rifiuti aveva venduto all’avvocato di Parete un terreno con una cava. «Cipriano scavò ancora per raggiungere profondità maggiori ed estese il fosso nella parte anteriore. Negli anni successivi ci sversò i rifiuti del comune di Giugliano che si trovano proprio sopra i fanghi». Tra l’89 e il ’90 arrivarono centinaia di camion. Il conto lo sta pagando ora una comunità che rischia di perdere la sua principale fonte di sostentamento, l’agricoltura. Ma riprendiamo il viaggio. Davanti alla Resit la strada diventa sterrata. Dopo qualche centinaia di metri la recinzione è stata divelta: sul muretto è appoggiata una scaletta che dà in una specie di baracca dove un vecchio alle 11,30 guarda stancamente la tv. Intorno dovunque la cenere degli incendi che negli anni scorsi si sono sprigionati a ripetizione. È bruciata anche la targa con la quale il commissariato per i rifiuti segnalava il sito. Una storia che sembrava finita e invece, girato l’angolo, proprio davanti al Cdr di Giugliano, si intravedono di nuovo le fiamme. Il crepitare è ininterrotto: gli sterpi bruciano per centinaia di metri mentre i soldati restano tranquilli nella casupola di legno dalla quale presidiano l’impianto. Un’auto della Falco Security si aggira per le campagne: «Avete visto delle pecore? - chiede il vigilantes - sono scappate e non si trovano più». La scena è surreale, ma il peggio deve ancora venire. Poco più avanti si scorgono nuvole di fumo nero, poi le fiamme che da tre diversi versanti circondano la discarica di Vassallo. «La nostra è una terra condannata - commenta amaro Del Giudice - ma oggi è criminale non intervenire subito per scongiurare un disastro che coinvolge l’intera Campania». Il futuro è dietro le spalle.