«Procedure illegittime e disgustose contro cui non ho potuto far nulla»
Rammaricato, deluso. Costretto nuovamente alle dimissioni. Angelo Romano ha abbandonato ancora la guida dell'Asa, portando dentro di sé la rabbia per avere potuto fare ben poco contro «un procedimento illegittimo». Avrebbe voluto opporre ben altra resistenza per tutelare non solo l'interesse pubblico ma, soprattutto, «la dignità e la moralità di un'azienda sana».
La mancata riunione del Cda - a causa dell'assenza del consigliere vice presidente Fernando D'Amore - gli ha rassegnato quasi un senso di impotenza rispetto a provvedimenti «che mi hanno disgustato». Per questo ha preferito abbandonare di nuovo la scena.
Presidente, assistiamo quasi ad un revival. L'amministratore delegato che tenta di operare assunzioni, lei che decide di abbandonare.
«Questa storia delle dimissioni pare essere diventata una favola. Purtroppo, è forse rimasto l'unico modo per denunciare una situazione di fronte alla quale posso ben poco. Nella precedente occasione - dopo il mio rientro per il quale avevo posto dei paletti che, in parte, furono rispettati - siamo riusciti a bloccare la procedura nel Cda. Stavolta, invece, la parte privata ha giocato di anticipo e la mancata riunione del Cda ha agevolato il compito».
Lei ha pure cercato di opporre una qualche forma di resistenza.
«Ho presentato formale richiesta all'ufficio provinciale del lavoro per ottenere l'annullamento del procedimento. Ho ricevuto un parere di illegittimità che potrà rappresentare un elemento importante per ottenere la revoca della procedura di assunzioni».
Il socio privato e l'ad hanno provato a spiegare le loro ragioni.
«Si tratta di puerili giustificazioni per provare a difendere un procedimento che di legittimo non ha assolutamente nulla. Pure il riferimento al passato lascia il tempo che trova, non essendoci similitudini. I casi nei quali si è proceduto, infatti, a sostituzione di un lavoratore con propri congiunti sono stati anzitutto deliberati dall'intero Cda, allora costituito da 5 componenti, e posti in essere dopo lunga trattativa con le organizzazioni sindacali. In luogo del licenziamento di lavoratori inidonei, dichiarati dalla commissione medico provinciale, e di un malato terminale, che non aveva maturato requisiti minimi di pensione, subentrarono congiunti diretti. Tra l'altro, tutti assunti con il secondo livello. A nessuno fu concesso, come a qualche privilegiato in questa occasione, un surplus di 600 euro mensili come indennità di flessibilità e superminimo».
Lei non ha nascosto la sua delusione per questo «nuovo tentativo di forzare la mano da parte del socio privato». Nel contempo ha auspicato una reazione generale, quasi uno scatto di orgoglio.
«Ci vuole una ribellione generalizzata rispetto a questi atti di prevaricazione. La città di Avellino e l'intera provincia sembrano propense a lasciarsi scivolare tutto addosso. Non è così che si da l'esempio alle nuove generazioni. Inoltre, non vedo un senso di ribellione da parte dei lavoratori onesti e perbene dell'Asa - che rappresentano la gran parte - rispetto a questa procedura sconcertante».
L'Asa è un'azienda con molti problemi, derivanti soprattutto dalla difficoltà finanziaria e da un rapporto pubblico - privato che non è mai stato idilliaco. Lei ha sempre lavorato per superare gli ostacoli.
«È questo l'obiettivo che mi sono sempre prefissato e per il quale mi sono adoperato sia in campo lavorativo che da amministratore. La mia è sempre stata e continuerà ad essere una battaglia di ordine morale. Non si può offendere - con atti di prevaricazione e immoralità diffusa - chi mette in gioco le propria capacità e professionalità per ottenere un risultato».