Vento di abbandono tra Lacedonia e Candela

Dopo la battaglia contro le discariche, quella per gli ospedali: si decide il destino dell'Irpinia
9 maggio 2010 - Franco Arminio
Fonte: Il Mattino Avellino

Il destino dell'Irpinia L’Irpinia che viene rischia di essere un luogo orribile. Dal punto di vista dei servizi non ci sarebbe da meravigliarsi se, in breve tempo, ci ritrovassimo nelle condizioni in cui eravamo negli anni Sessanta, con il danno ulteriore e, credo, irrecuperabile, di non avere intorno a noi e dentro di noi le speranze e gli umori positivi che circolavano in quegli anni. Penso in particolare all’Irpinia d’Oriente. Qui ormai le case vuote sono molte di più degli abitanti. Il problema non è essere rimasti in pochi. Il problema vero è l’atteggiamento di chi nei nostri paesi ci è rimasto. Un paese di cento persone che amano la cultura e hanno rispetto degli altri è sicuramente migliore di un paese di mille abitanti in cui questi valori, che sembrano diventati inutili e fastidiosi orpelli, sono stati dismessi per partecipare ai fasti della miseria spirituale che dilaga in tutto l’Occidente. L’annunciata chiusura dell’ospedale di Bisaccia nasconde una verità ancora più amara: quell’ospedale di fatto da anni non è stato messo in condizioni di assicurare servizi adeguati e non mi riferisco a centri di eccellenza, ma ai servizi minimi ai quali un malato avrebbe diritto in uno stato che vuole definirsi «moderno» e «civile». In questi territori ormai veniamo chiamati a mobilitarci per difendere quel pochissimo che ci è rimasto, che ancora non ci è stato tolto. E, in genere, il risultato è che la briciola diventa sempre più piccola perché finisce sempre che bisogna spartirsela con altri difensori di briciole (in questo caso con l’ospedale di Sant’Angelo dei Lombardi). A Bisaccia permane una certa attitudine alle lotte sociali, basti pensare alla battaglia per il Formicoso. Per ora sembra che il pericolo è svanito e invece è solo rinviato. Attualmente nella nostra regione non c’è il minimo indizio di un ciclo avanzato nella gestione dei rifiuti. Andiamo avanti con solo due anelli delle catena: discariche e inceneritore di Acerra. Nessuna riduzione della produzione dei rifiuti, ridicole e false percentuali nella raccolta differenziata, assenza di veri impianti per la selezione e il riciclaggio. Con queste premesse è chiaro che la discarica sul Formicoso è ancora davanti a noi. A meno che quel pezzo di terra lasciato libero non venga invaso da una selva confusa di pale eoliche. Come in una penosa catena di Sant’Antonio, qui si arriva a un’altra stazione del nostro calvario. Con tutte le pale che ci sono dovremmo come cittadini avere qualche beneficio. Il vento è un bene pubblico, ma le pale fino a ora sono servite solo ad arricchire poche persone. Sembra di essere nei paesi arabi prima della nazionalizzazione del petrolio. Da questa veloce rassegna delle nostre croci sarebbe il caso di passare alle delizie, sarebbe il caso di segnalare che a giugno a Cairano ci sarà un evento straordinario, ma anche qui la domanda è la solita: gli irpini se ne accorgeranno? Siamo ancora in grado di cogliere il meglio considerato che siamo sempre più assuefatti al peggio? L’ultima nota è per questo mio articolo. Non ci sono nomi e dunque è destinato a non lasciare traccia. Ormai la barbarie impone che per ottenere risposte da qualcuno bisogna farne nome e cognome. E la risposta, allora, è immediata e, quasi sempre tagliente, rancorosa. Quindi un riferimento chiaro, un nome in extremis lo voglio fare, è quello dei sindaci irpini, di tutti i sindaci irpini: abbiano il coraggio di andare in prefettura già dalle settimana prossima e di consegnare le loro fasce. Solo dimissioni collettive e immediate oggi potrebbero scuotere la ruggine che sta corrodendo tutto e tutti. Le dimissioni dei sindaci servirebbero a scuotere le istituzioni superiori ma anche a scuotere se stessi. Servono gesti clamorosi e generosi, serve impegno e, al tempo stesso, capacità di abbandonare le proprie cariche, quando queste non sono più utili al bene comune. A Roma e a Napoli ormai ci trattano con indifferenza, ma non abbiamo nemici più grandi di noi stessi. Ad Avellino c’è un enorme teatro, un teatro che può raccogliere più di mille persone. Perché non usarlo per un gesto eccezionale, una grande manifestazione che serva a lanciare una vertenza irpina, la vertenza della terra dei paesi. Invitateci a partecipare, invitateci a sostenervi in scelte complesse, difficili, esposte. Solo così possiamo pensare di riammagliare i fili di una comunicazione e di una comunità che, allo stato attuale, non esiste, perché si è persa nelle incomprensioni e nei giochi di potere piccoli piccoli che giovano, forse, per un momento, ma che ci condurranno alla distruzione di questa terra. A questo punto mi chiedo: chi dovrebbe organizzarlo questo raduno al «Gesualdo»? Come si fa a immaginare che di colpo centoventi campanili facciano risuonare la stessa campana? La prima risposta che mi viene in mente è che questo ruolo spetterebbe al sindaco del capoluogo. Oggi la politica non può essere mera gestione amministrativa, deve costruire cornici e dentro queste cornici i cittadini possono svolgere la loro azione. Adesso più che mai è necessario costruire una cornice irpina, un luogo in cui la politica diventi sintesi delle utopie meridiane e dello scrupolo nordico. Non è detto che i politici in servizio debbano limitarsi a svolgere la manutenzione della propria mediocrità. A volte, con un po’ di coraggio, si può andare anche oltre i propri limiti. Mi piacerebbe leggere nei prossimi giorni una risposta del sindaco Galasso. E se questa risposta non dovesse venire allora mi aspetto un’iniziativa senza indugi dai parti dei sindaci dell’Irpinia d’Oriente. La terra dell’osso non può trasformarsi così repentinamente nella terra della cenere.

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