La frana verso il cervaro, allarme dei geologi
Russo: il territorio è disastrato, oa rsevono soluzioni radicali
Una frana lunga tre chilometri, che continua a muoversi alla velocità di sei-sette centimetri l’ora, spostando a valle ogni giorno migliaia e migliaia di metri cubi di terreno, non può che far paura. Fanno paura i costoni che continuano a staccarsi dalla sommità, dove a quota 800 metri si è formato un lago che rischia di tracimare, mentre risulta piuttosto difficile captare le sorgenti che si muovono nel corpo della frana, soprattutto quelle situate fino a venti metri di profondità. Il rischio che si intervenga, come è avvenuto finora, solo per tamponare l’emergenza, con notevole dispendio di risorse, rimane alto. Quattro anni non sono bastati per far prendere alla comunità scientifica nazionale e regionale cognizione completa del fenomeno. Né gli interventi eseguiti sono stati capaci di scongiurare l’arrivo della frana sulla strada statale e sulla ferrovia. All’orizzonte c’è anche la minaccia del fiume Cervaro. Sarebbe la catastrofe ambientale finale. Bisogna, invece, passare subito a una strategia capace di mettere in sicurezza l’intera area. Sono queste soltanto alcune delle considerazioni che la folta delegazione dell’Ordine dei geologi della Campania, capeggiata dal presidente Francesco Russo, ha fatto nel corso del sopralluogo nell’area frana di Montaguto. Prima a Ciccotonno, dove è stato impiantato l’inteferometro, uno strumento che monitorizza il movimento franoso ogni cinque minuti, poi verificando ciò che accade ai piedi della frana nel versante del bivio di Montaguto e, infine, raggiungendo località Sorgenti, da dove comincia il fenomeno del distacco del terreno e da dove si domina l’intera valle del Cervaro. I geologi campani hanno raggiunto Montaguto in occasione del dodicesimo anniversario della frana di Sarno. Per lanciare un messaggio ben preciso al governo centrale e alla Regione Campania. «In occasione di questo anniversario - spiega infatti Russo - vogliamo portare all’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica i problemi connessi alla sicurezza del territorio. Siamo venuti qui perché qui c’è la più grande frana della Campania e dell’Italia, con tante variabili e incidenze sul tessuto sociale ed economico; parché riteniamo che noi geologi ci dobbiamo occupare assieme alle istituzioni di questo problema. Questo è un territorio al collasso, disastrato. Azioni tampone non servono. Guai a continuare su questa strada. Questa regione ha bisogno di investimenti, di soluzioni radicali. Si ripristini la statale e la ferrovia, ma si passi anche agli altri interventi». Non esita a mettere il dito nella piaga Domenico Calcaterra, docente dell’Università «Federico II», quando sostiene che i ritardi nell’aggredire la frana sono sotto gli occhi di tutti». «Questa - precisa - è una frana tipica delle zone interne dell’Italia meridionale; non c’è regione che non conosca problemi legati a tipologie di frane come questa. I geologi conoscono bene questa frana, ma perchè siamo ancora agli interventi di somma urgenza? In quattro anni a stento si è delimitato il corpo di frana e si sono fatte delle ipotesi, ma ipotesi anche abbastanza lacunose. Questa carenza tecnica non si può imputare agli organi ordinari, parchè qui si è passati subito ad organi straordinari, che non hanno profuso le dovute energie per arrivare a un’ipotesi tecnica risolutiva». Per Francesco Maria Guadagno, preside della Facoltà di Scienze Unisannio, «solo adesso si sta tornando alla strada maestra, che è essenzialmente quella del drenaggio delle acque dal corpo della frana». Mostra fiducia, infine , nell’operato di Bertolaso l’assessore provinciale all'Ambiente, Domenico Gambacorta. «Con l’intervento della protezione civile - ribadisce - si è fatto un passo avanti, dopo anni di ritardi. Se non ci fosse stata l’interruzione dei servizi ferroviari non saremmo a questo punto. A ogni modo la Provincia non rinuncia a svolgere un ruolo di sollecitazione e di collaborazione, così come richiesto dallo stesso Bertolaso».