Rifiuti, si riparte con ditte nuove e vecchi nomi
Una parentesi durata quindici anni. Non la esclusiva gestione dell’emergenza ma la strutturata amministrazione di un settore che, nei suoi aspetti criminali, ha fruttato alle regioni del Sud oltre 18 miliardi di euro l’anno. Tra dieci giorni si volta pagina, si chiude il ciclo straordinario iniziato a febbraio del 1994 con la nascita dei consorzi intercomunali di bacino e si passa, per decreto, alla gestione ordinaria di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti. Ma tra l’una e l’altra fase c’è un elemento di continuità. Lo evidenzia l’informativa preliminare sulla quale sta lavorando il pm antimafia Antonello Ardituro in collaborazione con il collega Alessandro Milita, titolare dell’inchiesta sulla gestione del consorzio Ce4 nella quale è indagato il sottosegretario Nicola Cosentino. La continuità è data dal ricorrere di alcuni nomi che sono stati, in passato, l’interfaccia burocratica delle imprese che hanno curato la raccolta dell’immondizia e il trasporto dei rifiuti a discarica: manager, consulenti, dirigenti. Il sospetto, alimentato anche dalle denunce dei sindaci della provincia di Caserta inseriti nella lista nera del sottosegretario Guido Bertolaso, è che sotto traccia stiano lavorando, o siano pronte per rientrare nel circuito dello smaltimento dei rifiuti, le stesse ditte che avevano operato con i consorzi intercomunali. Ditte i cui titolari sono stati oggetto di indagini antimafia. Se la Ecoquattro dei fratelli Orsi non esiste più, cancellata dall’omicidio di Michele e dall’arresto del fratello Sergio, qualcosa invece potrebbe essere sopravvissuto della Ecocampania di Nicola Ferraro, consigliere regionale dell’Udeur, coinvolto nelle due inchieste sul sistema-Mastella, che avrebbe conservato la capacità industriale di gestire il settore. All’attenzione della Digos della questura di Caserta c’è l’elenco dei dipendenti del Consorzio unico Napoli-Caserta che, con la fine dell’emergenza, dovrebbero essere assorbiti dalle società provinciali o essere messi in mobilità. Quell’elenco è anche uno degli elementi di maggiore interesse investigativo. La storia giudiziaria degli anni passati ha dimostrato, infatti, che di travaso in travaso dalle società comunali a quelle di bacino, o con i passaggi di cantiere delle ditte incaricate della raccolta dei rifiuti, negli organici degli enti pubblici erano stati assorbiti anche elementi contigui alla camorra. Giacomo Fragnoli, per esempio, figlio di un elemento di spicco del clan La Torre di Mondragone, era capo del personale di Ecoquattro; Carmine Pollio, affiliato allo stesso clan, faceva il netturbino. Nel libro paga anche elementi di maggior peso criminale, come ad esempio Luigi Guida, reggente del clan Bidognetti. In primo piano la posizione di Antonio Scialdone, 39 anni, di Vitulazio, attuale direttore generale del Consorzio unico. È stato, negli anni scorsi, funzionario-consulente della Recam e dirigente del consorzio Acsa Ce3, che ha curato tra le altre cose la pratica Lo Uttaro, a Caserta. È indagato in due differenti procedimenti della Dda di Napoli. È stato, dieci anni fa, anche il «socio giovane» di Nicola Ferraro. La sua presenza in ditta avrebbe dovuto pareggiare i conti tra Ecocampania ed Ecoquattro nella gara per l’aggiudicazione dell’appalto con il consorzio Ce4, dove il requisito principale era appunto la giovane età di almeno uno dei soci. Il suo nome compare nell’ordinanza del gip di Napoli, Raffaele Piccirillo, con la quale aveva chiesto al parlamento l’autorizzazione all’arresto del sottosegretario Nicola Cosentino. Di Scialdone avevano parlato i fratelli Michele e Sergio Orsi, l’ex presidente del consorzio Ce4 Giuseppe Valente e lo stesso Nicola Ferraro, interrogati dal pm Alessandro Milita. Racconta Ferraro: «Alla fine del ’99, attraverso un comune amico, il dr. Antonio Scialdone, gli Orsi mi chiesero un incontro (...); in quel periodo era amministratore di una società denominata Trea Sud che io stesso avevo costituito». Alla gara per la società mista (che fu poi aggiudicata ai fratelli Orsi) Nicola Ferraro partecipò con l’Ati Ecocampania-Trea Sud, che gli garantiva il requisito della imprenditorialità giovanile attraverso Scialdone, che aveva da poco compiuto 29 anni. Antonio Scialdone, al quale il 28 luglio scorso la Guardia di Finanza di Marcianise ha sequestro alcuni beni nell’ambito dell’inchiesta sui rapporti tra la Recam e le società del settore dei rifiuti che facevano riferimento al clan Belforte di Marcianise, risulta coinvolto anche nel procedimento a carico del boss di Recale, Antimo Perreca, nell’ambito del quale la Dda di Napoli ha chiesto l’archiviazione per l’eurodeputato Crescenzio Rivellini. Scialdone risultava essere l’intermediario tra Perreca, i politici che dovevano garantire gli appalti alla Recam e imprenditori che dovevano finanziare l’impresa nella quale il funzionario aveva ritagliato anche una parte per se stesso attraverso una società nella quale non compariva, però, formalmente. Per far partire l’affare era stato necessario ungere gli ingranaggi politici con una tangente di 400mila euro e con un’auto, che risulta essere stata ritirata proprio da Scialdone. Le dichiarazioni dell’imprenditore Pietro Amodio, ora collaboratore di giustizia, ex titolare di un autosalone al quale era interessato anche Nicola Schiavone (figlio del capo del clan dei Casalesi), non sono state riscontrate. Dovranno essere valutate dal gip del tribunale di Napoli nelle prossime settimane.