I rifiuti, l’inchiesta

“Sindaci fermati dalla camorra” Indaga la dda”

Aperto un fascicolo dopo il contrattacco dei primi cittadini nel mirino di Bertolaso
19 dicembre 2009 - Rosaria Capacchione
Fonte: Il Mattino

Niente alibi. Niente riferimenti generici a non meglio precisate presenze camorristiche. Se in nove comuni della Campania il piano di Bertolaso non ha funzionato è perché qualcuno ha remato contro. E quel qualcuno deve avere al più presto un nome e un cognome. Lo chiede il sottosegretario all’emergenza rifiuti, lo pretende - in una sorta di braccio di ferro a distanza con Guido Bertolaso - il ministro Roberto Maroni. E lo sollecita la Procura antimafia di Napoli, che ai nove sindaci delle amministrazioni comunali inadampienti chiede fatti e circostanze. E nomi, appunto. I riferimenti a ditte e imprese sono contenuti nelle relazioni presentate al presidente della commissione parlamentare sulle ecomafie e nei fascicoli depositati presso l’ufficio del sottosegretario. Sono dei veri e propri dossier sui casi di Aversa, Casal di Principe, Casaluce, Castelvolturno, Maddaloni, San Marcellino, Trentola, i sette comuni della provincia di Caserta che sono stati destinati al commissariamento; nelle ultime ore sono stati acquisiti formalmente dai pm Antonello Ardituro e Alessandro Milita, titolari di un’inchiesta - che al momento è soltanto un’indagine conoscitiva - sulla gestione del ciclo dei rifiuti dopo la fine del sistema dei consorzi di bacino e delle società miste pesantemente infiltrate dalla camorra casalese. I sette sindaci casertani, durante l’audizione di dieci giorni fa, avevano denunciato al presidente Gaetano Pecorella di non aver potuto attuare il piano-Bertolaso a causa della presenza massiccia della camorra. Formalmente, però, non esistono denunce su episodi di intimidazione o su turbative d’asta riconducibili alla criminalità organizzata. Cioè, allo stato non risultano presso la Dda di Napoli inchieste su fatti specifici, che mai risultano essere stati segnalati a polizia o carabinieri. Eppure, sospettano gli investigatori, il sistema dei rifiuti continua a essere il maggior cespite del clan dei Casalesi. La delega assegnata dai due magistrati napoletani alla questura di Caserta prevede lo screening approfondito della materia, a partire dall’attività del Consorzio unico che ha ereditato le competenze dei consorzi di bacino. Una prima ricognizione sarebbe stata già effettuata e riguarderebbe i nominativi dei dipendenti e dei consulenti della struttura consortile, oltre che l’elenco delle ditte - una cinquantina - che a vario titolo si stanno occupando di trasporto, smaltimento e conferimento dei rifiuti urbani, della raccolta differenziata, della gestione dei siti di stoccaggio. Nelle prossime ore sarà approfondito lo studio dei nominativi di funzionari, burocrati, consulenti, che a partire dal prossimo mese di gennaio dovrebbero transitare nella società provinciale, la Gisec, di cui amministratore unico è l’ex coordinatore della Dda di Napoli, Felice Di Persia. Società che non è ancora attiva. In evidenza, tra gli altri, nome e ruolo di Antonio Scialdone, direttore del Consorzio unico, ex consulente della Recam ed ex collaboratore della Ecoampania del consigliere regionale dell’Udeur Nicola Ferraro. Indagato in un procedimento della Dda di Napoli su appalti pilotati in favore del clan Belforte di Marcianise, nel luglio scorso Scialdone (39 anni, di Vitulazio) è stato anche destinatario di un decreto di sequestro di beni assieme ad altre cinque persone legate ai Belforte. Funzionario della Recam, società impegnata nella riqualificazione dei Regi Lagni, nel 2004 aveva sottoscritto con la Sem, società del cognato del boss Domenico Belforte, un contratto di appalto per la rimozione di rifiuti prelevati nel Nolano. Si tratta degli stessi affari evidenziati nell’inchiesta, sempre della Dda di Napoli, a carico del clan Perreca. Fatti risalenti a quattro/cinque anni fa ma il sospetto degli investigatori è che il sistema possa essere rimasto invariato, con meccanismi di aggiudicazione degli appalti che finiscono per favorire le imprese legate alla camorra. Specificano gli inquirenti: quasi esclusivamente al clan dei Casalesi, come ai tempi del consorzio Ce4 e della Ecoquattro dei fratelli Orsi, con l’appalto «cucito su misura».

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