Asìa al verde, a rischio la raccolta differenziata
L’ordine non poteva essere frainteso: «Andate ai Quartieri e fate un macello». Partirono in dieci, in sella a scooter potenti, ultimo modello, armati di pistole e mitragliette. Poi, al ritorno, dopo aver «fatto il macello» tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli, l’eccitazione era alle stelle. Tanto, che dai balconi c’era chi festeggiava urlando, tenendo le mani alzate, applaudendo. Eccitazione, entusiasmo prima e dopo la spedizione punitiva che, per una fatalità neanche tanto difficile da prevedere, avrebbe ucciso Petru Birlandeanedu, musicista romeno freddato accanto alla fidanzata, a pochi passi dalla funicolare di Montesanto. La scena della morte, del pianto disperato della sua compagna, della fuga in massa di decine di passanti (che non esitano a scavalcare il corpo del romeno) sono purtroppo cosa nota. Scene di quel 26 maggio 2009, che hanno fatto il giro del mondo, grazie a telecamere nascoste dentro e fuori la funicolare: killer che sparano in aria, azioni dimostrative nel feudo dei Mariano, ma anche il tragico epilogo di un musicista dell’Est venuto a Napoli a cercar fortuna. Ciò che non raccontano le immagini agli atti, lo spiegano però due pentiti del clan Sarno, i boss di Ponticelli che avrebbero armato la mano di dieci giovanissimi killer. A parlare sono Giuseppe e Salvatore Sarno, padre e figlio, un anno fa (prima di arresti e pentimenti) in sella alla più potente macchina da guerra del napoletano, le cui accuse ora sono agli atti dell’udienza preliminare del prossimo 26 aprile, in un processo che vede imputati Marco Ricci, Salvatore e Maurizio Forte. Di quel pomeriggio di maggio, Salvatore Sarno (classe ’87) ricorda gli stati d’animo: «Ero a Ponticelli, sotto casa di Tonino fraulella (presunto boss legato ai Sarno, da anni in affari ai Quartieri Spagnoli). Notai decine di persone, tutte motorizzate, pronte a partire, eccitatissime. Prima di venire con me, sentii distintamente Tonino fraulella dare l’ordine a quei ragazzi. Disse: ”andate a fare un macello”. Ricordo che a partire ci fu anche Marco, figlio di Giacomino ’a fraulella (soprannome di Enrico Ricci, ndr)». Seguono omissis, con l’ovvio riferimento agli alti sei o sette killer su cui è caccia aperta da un anno. Poi il racconto cade sul sequel, su quanto avvenne a Ponticelli, al ritorno dei dieci killer spediti dai Sarno-Ricci a sparare nella zona controllata dal clan Mariano. È ancora Salvatore Sarno ad aggiungere particolari, nel corso di un interrogatorio reso al pm anticamorra Enzo D’Onofrio, poi depositato agli atti del processo sulla morte di Petru dai pm Sergio Amato e Michele Del Prete. Spiega Sarno: «Due ore dopo, vedemmo affacciati al balcone cinque o sei di quei ragazzi che avevo visto partire, e che a mani alzate gioivano e festeggiavano. Fu così che appresi della spedizione contro i Mariano, ma non mi parlarono di nessun morto, per cui ne dedussi, quando appresi la notizia della morte dello zingaro, che i gruppi di fuoco non si erano nemmeno accorti di aver ucciso una persona». Ancora cartoline da Napoli: «A Ponticelli festeggiavano tutti, erano tutti impegnati a distruggere le armi usate (pistole 9 per 21). Mi dissero che all’azione avevano preso parte anche gente dei Prinno di rua Catalana e che, partendo da Ponticelli, si erano formati gruppetti che erano andati a sparare in zona Quartieri». Scenario da brividi. Scarcerato un anno fa Marco Mariano (dopo 14 anni di cella), si arriva allo scontro con i Ricci, a loro volta legati ai Sarno. Di qui la decisione di sparare sotto casa dei Mariano, un modo come un altro per mostrare i muscoli e imporre nuovi rapporti di forza. Nuove accuse agli atti, dunque, in un’inchiesta che promette sviluppi e che punta ad arrestare tutti i responsabili di due ore di terrore in città, dalla periferia al centro, andata e ritorno. Parlano testimoni diretti di un pomeriggio di follia, che ricordano anche le emozioni successive alla diffusione del video della sparatoria: «Uno di loro mi disse divertito che si era riconosciuto nella scena della sparatoria che uccise lo zingaro».