"La Guerriglia a Pianura fruttò 80amila euro"

Processo alle barricate antidiscarica
Parla in aula il pentito del Clan Lage
23 marzo 2010 - Leandro Del Gaudio
Fonte: Il Mattino

 Ottantamila euro al mese dagli abusi edilizi. Soldi cash, che entrano nelle casse del clan Lago ogni trenta giorni, a scadenza fissa. A fare i conti in tasca alla cosca di Pianura, non è uno qualunque. Ma un teste d’accusa che fino a qualche tempo fa gestiva le redini di un’organizzazione criminale protagonista dagli anni Settanta del sacco edilizio della periferia occidentale. Camorra e palazzi, guerriglia di strada e abusivismo: a parlare in aula è il pentito Giovanni Gilardi, ascoltato ieri nel processo sulla rivolta antidiscarica scoppiata a Pianura nei primi giorni del 2008. Gennaio fatale per Napoli: fu il crocevia di indagini e di vicende giudiziarie su crimine e malaffare, sassaiole e politica. A ricostruire i giorni della rivolta ci ha pensato ieri l’ex «ragioniere» dei Lago, interrogato dal pm anticamorra Antonello Ardituro. Si esprime bene, italiano fluente, non privo di immagini ad effetto, come quando definisce la rivolta di Pianura «un miracolo piovuto dal cielo», ripensando agli incassi garantiti dalla rivolta di piazza; o come quando bolla il caporalato imposto agli extracomunitari dai costruttori in odore di camorra come una «prostituzione a mano nera». Chiaro il suo ragionamento, che sembra rafforzare in pieno la ricostruzione della Dda di Napoli sui momenti più cruenti della rivolta contro la riapertura della discarica di Contrada Pisani: «Più duravano i tafferugli, maggiore erano gli incassi per il clan. Come dimenticare quei giorni - aggiunge il pentito - quella storia della discarica fu un miracolo dal cielo». In che senso? «L’abusivismo edilizio prima di tutto: con il quartiere paralizzato dalle barricate e con l’attenzione delle forze dell’ordine solo sulla protesta, potevamo continuare a fare costruzioni abusive senza che arrivasse un vigile. Una manna dal cielo». Poi il pentito va a fondo: «Il racket sulle costruzioni abusive, imposto comunque a imprenditori compiacenti, frutta al clan 80mila euro al mese. Per questo in quei venti giorni ci fu il boom delle attività gestite dal clan, al di là del cemento abusivo, anche droga e racket agli esercizi commerciali». Ancora soldi, da parte dell’ex cassiere: «Solo dai proventi del pizzo ai negozi - ha spiegato - circa seimila euro al mese», una sorta di beffa nel quartiere che ha visto spesso sugli scudi l’associazione antiracket. Poi, si parla di politica. È qui che il pentito accusa l’imputato Marco Nonno, consigliere comunale Pdl, ieri in aula nel processo alla presunta devastazione. Stando all’accusa, il clan si sarebbe rivolto a Nonno con l’obiettivo di prezzolare facinorosi e di tenere alta la tensione. È qui che entrano in scena i teppisti del San Paolo, gli pseudotifosi. Stando alla Procura a Pianura accadde di tutto: un pasticcio di politica, camorra e teppismo da stadio. Ha spiegato ieri Gilardi: «C’era il problema di far proseguire gli sconti. Era l’otto gennaio, mi rivolsi ad Antonio Lago, esponente dell’omonima famiglia locale, lo feci per responsabilizzarlo. Fu lui a dirmi che aveva un amico politico, ci fu un incontro all’esterno del bar Etoile. Vennero dati 10mila euro a Nonno, che ci assicurò che gli scontri sarebbero continuati, quei soldi avrebbero fatto durare la guerriglia per altri dieci giorni». Poi vengono mostrate delle fotografie e alla numero 9, il pentito non ha esitazioni: «È lui, è Marco Nonno il politico». Versione duramente contrastata da parte del consigliere comunale, anche attraverso un durisso controesame del pentito condotto dal penalista Massimo Fumo, che assiste Nonno assieme all’avvocato Giovanni Belleré. Perché Gilardi non riconobbe Nonno nel corso dei primi interrogatori? «Quando lo incontrai quel giorno - spiega Gilardi - Nonno aveva un cappellino e un giubbotto abbottonato fino alla gola». Perché mancano riferimenti ai teppisti dei niss (niente incontri solo scontri)? «Perché - spiega Gilardi - non aveva contatti con quella realtà». Non manca un affresco di sociologia, da parte del pentito, che spiega quanto tempo ci vuole a costruire un edificio abusivo: «Un paio di mesi, lavorando giorno e notte, camorra e costruttori si avvalgono di lavoratori immigrati: vengono pagati 25-30 euro al giorno, sono una prostituzione a mano nera a tutti gli effetti». Storia di una guerriglia organizzata a tavolino - fatta salva la buona fede delle tante famiglie che scesero in strada - in un intreccio di interessi ancora tutto da definire.

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