Nei subappalti dell’emergenza anche le ditte di Zagaria
Da maggio del 2008 a dicembre del 2009, oltre un anno e mezzo di gestione emergenziale durante la quale sono state sospese o attenuate le procedure di controllo in cambio di iter procedurali molto più veloci. Ed ecco tornare gli affidamenti a trattativa privata e il ricorso sistematico al subappalto. Stiamo parlando di rifiuti e della catena di imprese che ha ruotato attorno al Commissariato straordinario per l’emergenza nella sua ultima fase, quella dell’individuazione delle aree da adibire a discarica e ad aree di stoccaggio delle ecoballe. Una corsa all’oro nella quale, ai primi posti, è risultata essere la camorra. Allarmanti i risultati dei primi accertamenti effettuati dalla Dda di Napoli (indaga il pm Antonello Ardituro) nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul ciclo dei rifiuti in terra dei Casalesi. La prima informativa della Digos della questura di Caserta aveva evidenziato la presenza, tra quelle che avevano partecipato ai lavori straordinari, di ditte che avevano già lavorato per i Consorzi di bacino e di funzionari, con incarichi apicali, già coinvolti in indagini sulle infiltrazioni della camorra negli stessi consorzi. L’ultima, una sorta di aggiornamento in corso d’opera, segnala la presenza di società di trasporto riferibili alla famiglia di Michele Zagaria (uno dei due boss casalesi latitanti da quasi quindici anni) e impiegate per il trasporto in discarica dei rifiuti raccolti in provincia di Napoli nel 2008. Ancora, risulterebbero affidati a ditte vicine al gruppo di Antonio Iovine (l’altro capo dei Casalesi latitante, come Zagaria condannato definitivamente all’ergastolo) i lavori di costruzione di alcune delle piattaforme di cemento armato realizzate nei siti di stoccaggio delle ecoballe, a Santa Maria la Fossa. In queste ore è in corso anche un nuovo riscontro. La Procura antimafia, infatti, sta incrociando i nominativi delle imprese coinvolte a vario titolo nell’inchiesta di Firenze sulla gestione degli appalti per la Protezione civile e quelli cooptati dalla stessa struttura durante l’emergenza rifiuti in Campania. Si sta verificando, inoltre, l’eventuale ruolo di alcuni consulenti già coinvolti nell’inchiesta sulla gestione del Consorzio Ce4 e sul Commissariato straordinario per l’emergenza, in forze alla struttura di Bertolaso nel periodo preso in considerazione dall’inchiesta fiorentina, e cioè tra il 2008 e il 2009. Tra gli uomini di fiducia del capo della Protezione civile in quel periodo c’era anche Claudio De Biasio, assolto dal gup Enrico Campoli dall’accusa di truffa in concorso con i fratelli Michele e Sergio Orsi. Lo screening dei dipendenti del Consorzio unico Napoli-Caserta non è stato ancora ultimato. Ma resta in primo piano la posizione di Antonio Scialdone, 39 anni, di Vitulazio, attuale direttore generale del Consorzio unico. Portano la sua firma gli ultimi provvedimenti relativi alla gestione del personale che dovrà essere assorbito dalle società provinciali. Ha redatto, infatti, come previsto dalla legge, la pianta organica e ha conteggiato gli esuberi. Nelle schede illustrative del decreto erano quantificati in quasi 700, ma sono stati ridotti a 359 di cui 297 a Napoli. Nei giorni scorsi, inoltre, assieme al presidente del Consorzio Enrico Parente, ha trasformato i contratti a tempo parziale in contratti full time. E ha rinunciato al ricorso contro le assunzioni dei lavoratori di Matese Ambiente, società sciolta per infiltrazioni camorristiche. Scialdone è stato, negli anni scorsi, funzionario-consulente della Recam e dirigente del consorzio Acsa Ce3, che ha curato tra le altre cose la pratica Lo Uttaro, a Caserta. È indagato in due differenti procedimenti della Dda di Napoli. È stato, dieci anni fa, anche il «socio giovane» di Nicola Ferraro. La sua presenza in ditta avrebbe dovuto pareggiare i conti tra Ecocampania ed Ecoquattro nella gara per l’aggiudicazione dell’appalto con il consorzio Ce4, dove il requisito principale era appunto la giovane età di almeno uno dei soci. Il 28 luglio dello scorso anno la Guardia di Finanza di Marcianise gli ha sequestrato alcuni beni nell’ambito dell’inchiesta sui rapporti tra la Recam e le società del settore dei rifiuti che facevano riferimento al clan Belforte di Marcianise.