Truffa rifiuti, in Toscana i veleni di Bagnoli
Si chiama «Golgen Rubbish» l’operazione che, partendo da un’indagine sulla bonifica di Bagnoli, ha portato a ordinanze di custodia cautelare (in carcere o ai domiciliari) per 15 persone. Sessantuno gli indagati. Le indagini hanno coinvolto anche Steno Marcegaglia, presidente del gruppo e padre di Emma, presidente di Confindustria. Ma l’inchiesta è incentrata sopratutto sull’impianto della Agrideco di Scarlino, in provincia di Grosseto, dove il 26 giugno 2008 avvenne un’esplosione che provocò la morte di un operaio e il ferimento grave di un altro. Proprio lì, secondo i magistrati, sarebbe finita parte del milione di tonnellate di rifiuti tossici e pericolosi, smaltita illegalmente da aziende di diverse regioni. E infatti l’indagine, coordinata dalla Procura di Grosseto e condotta dal comando carabinieri per la tutela dell’ambiente, avrebbe individuato un’organizzazione dedita al traffico illecito di rifiuti pericolosi. Costituita in Toscana, si è allargata in Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Emilia Romagna, Marche, Campania, Lazio, Abruzzo e Sardegna. È così scattata la custodia cautelare per 15 persone: 6 sono finite in carcere e 9 agli arresti domiciliari. Si tratta dei legali rappresentanti, presidenti di consigli di amministrazione, direttori generali, responsabili tecnici, soci, responsabili di laboratorio e dipendenti delle società coinvolte. Due chimici sono stati interdetti dalla professione. L’inchiesta è partita da uno stralcio dei pm della procura napoletana Giuseppe Noviello, Paolo Sirleo e Maria Cristina Ribera, sulla movimentazione dei rifiuti prodotti dalla bonifica del sito di Bagnoli, ma, a quanto pare, non coinvolge la società che sta gestendo i lavori. Infatti, la De Vizia spa, in un una nota precisa che «nessun provvedimento è stato assunto a carico della società. Nello specifico si rappresenta che mai l’impianto in questione è stato utilizzato per lo smaltimento dei residui prodotti dalla bonifica del sito contaminato di Bagnoli oggetto dei lavori affidati alla De Vizia transfer spa. Gli stessi infatti vengono regolarmente smaltiti in impianti nazionali ed esteri, anche pubblici, senza alcun passaggio intermedio, previo nulla osta di tutti gli organi di controllo sulle attività e previa analisi e certificazione effettuate da laboratorio pubblico terzo». Secondo gli inquirenti, però, un milione di tonnellate di rifiuti pericolosi provenienti praticamente da tutt’Italia è stato smaltito a costi bassi per le imprese, ma altissimi per la salute. Dall’indagine, infatti, è emerso che ancora una volta per liberarsi a poco prezzo dei veleni è stato utilizzato il cosiddetto «giro di bolla», cioè quel sistema che permette di far figurare i rifiuti come smaltiti in siti regolari e li spedisce, invece, in impianti che se ne liberano senza rispettare le norme. In questo caso, secondo i magistrati, al centro dell’organizzazione ci sarebbe stata la Agrideco, una società di intermediazione maremmana, proprietaria anche di un impianto di trattamento, che, avvalendosi di produttori, trasportatori, laboratori di analisi, impianti di trattamento, siti di ripristino ambientale e discariche, avrebbe regolato e gestito i flussi dei rifiuti. E questo attraverso una sistematica falsificazione di certificati di analisi, formulari di identificazione e registri di carico e scarico in maniera da applicare i cosiddetti codici (quelli che identificato i rifiuti) in maniera scorretta. In Maremma i rifiuti pericolosi diventavano miracolosamente innocui così da poter essere dirottati in siti di destinazione finale compiacenti ubicati in Toscana, Trentino - Alto Adige ed Emilia Romagna. L’Agrideco ha fatturato 30 milioni di euro l’anno, almeno per tre anni, dal 2006 al 2008. Tra i clienti aveva i gruppi Lucchini (quello che gestisce anche le acciaierie di Piombino, la stessa città che doveva accogliere la colmata di Bagnoli), Marcegaglia e alcune aziende della multinazionale Procter & Gamble (P&G). In tutto le aziende-clienti erano una ventina. Il traffico avrebbe permesso di guadagnare svariati milioni di euro provocando un consistente danno all’Erario per l’evasione dell’ecotassa.