Inchiesta «Chernobyl», il gip rinvia a giudizio i 38 indagati
Il processo si aprirà il 26 aprile
Santa Maria Capua Vetere. L’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere sulla terra «avvelenata» che, nel 2007, portò all’arresto di 38 persone si è conclusa – l’altro giorno – con il rinvio a giudizio di altrettanti indagati. La decisione è stata del gup del tribunale sammaritano, Marcello De Chiara, che ha fissato l’apertura del processo per il 26 aprile prossimo davanti ai giudici della prima sezione penale. Tra i destinari dei provvedimenti ci sono i titolari della «Naturambiente» di Castelvolturno – Giuseppe e Ludovico Ucciero – ed un loro dipendente, Marco Buongiovanni finiti nella complessa indagine denominata «Chernobyl», nata dalle inchieste «Madre Terra» e «Madre Terra 2». Ma gli stessi imputati, difesi dall’avvocato Ferdinando Letizia, sono stati prosciolti da diversi capi di imputazione. Nel falso «compost di qualità», hanno appurato i carabinieri del Nucleo Tutela Ambiente dei carabinieri, c’erano anche tracce di cromo esavalente una sostanza altamente cancerogena che finiva mischiata al terreno agricolo. E ancora una volta, si è parlato di un altro attentato alla salute, consumato per oltre due anni da affaristi senza scrupoli e da contadini compiacenti, prima in provincia di Caserta e poi nel resto della regione, fino alla provincia di Foggia. Il «cimitero» delle scorie industriali – secondo l’inchiesta firmata dal pm Donato Ceglie - è stato individuato nelle campagne dell’agro nocerino-sarnese, nella piana del Sele, nel Foggiano e nelle falde freatiche di quasi tutta la Campania. Sconvolgenti i risultati del monitoraggio fatto dai carabinieri del Noe. Un’operazione, che portò, oltre agli arresti, anche al sequestro delle società degli indagati e dei quattro depuratori di Cuma, Mercato San Severino, Orta di Atella e Marcianise. Sempre secondo la stessa inchiesta, il porto di Napoli, invece, era il crocevia dei traffici. Tra i destinatari dei decreti di fermo, anche il gestore dell’impianto di Cuma, autotrasportatori, imprenditori senza scrupoli ma anche agricoltori che hanno accettato di sotterrare le scorie velenose in cambio di poche centinaia di euro. L’operazione fu battezzata «Chernobyl» in quanto durante le oltre centomila intercettazioni telefoniche si è appreso di fusti pericolosi provenienti dall’Ucraina. Gli inquirenti avrebbero accertato che la «So.ri.eco» di Castelnuovo di Conza (Salerno), la Fra.Ma di Ceppaloni (Benevento) e le società «Agizza» di Napoli e «Naturambiente» di Castelvolturno – le quali avrebebro dovuto trasformare i fanghi prodotti dagli impianti di depurazione e di trattamento delle acque industriali in «compost di qualità» per l'agricoltura - in realtà facevano risultare solo sulla carta l’avvenuta raffinazione del prodotto. Diversi imputati, scarcerati sia dal gip che dal Riesame all’indomani del blitz, hanno beneficiato di alcuni proscioglimenti per altri capi. Come accaduto per l’operazione «Madre Terra», gli inquirenti hanno avuto conferma della presenza di una vera holding criminale dedita agli sversamenti illegali di rifiuti, molti dei quali effettuati per anni in provincia di Caserta peraltro in una zona ad alto inquinamento ambientale e dove l’impatto tumorale non avrebbe eguali in Europa. Nell’inchiesta «Madre Terra» - così denominata perché nei terreni colpiti dai fanghi tossici venivano coltivati zucchine, barbabietole e altri prodotti agricoli – era finita la rete dei depuratori dei fanghi industriali della Campania.