Quel bubbone di Pianodardine che dorme in attesa delle ruspe

5 febbraio 2010 - Aldo Balestra
Fonte: Il Mattino Avellino

Le piramidi nere e la marea azzurra. Le ecoballe coperte dalla geomembrana, sequestrate dalla magistratura, e quelle esposte alla pioggia, al sole e al vento. Al gelo. Ai corvi. Già, anche i corvi. Volano bassi e si posano sulla distesa di ecoballe non protette, oltre 14mila, parte più consistente di quelle stoccate - 19mila - nei piazzali dell’ex Cdr di Pianodardine: gli uccelli rompono il cellophane, beccano tra i rifiuti impacchettati, lacerano gli involucri già macerati. E l’immondizia, viva, resta esposta all’aria.
Percorrere i viali tra le sei piazzole dell’ex Cdr, nei giorni (si spera ancora pochi) che precedono l’avvio della rimozione delle ecoballe con destinazione finale Acerra (dove saranno bruciate), significa sfiorare il bubbone putrido che continua, da anni, a produrre biogas e percolato. Una bomba ecologica, pericolosa. Che prima si toglie e meglio è. In sette anni le montagne di ecoballe sono cresciute. Una delle due piramidi nere è alta dieci metri, e la vedi dalla Variante, mentre corri in auto. Sopra la «coperta» c’è ancora incollato un foglio, in una copertina trasparente, che indica il provvedimento di sequestro della Procura di Napoli che indagava sulla gestione Fibe. Sotto il manto nero che resiste a pioggia e gelo, e difende dal vento, ma al tempo stesso non evita l’effetto serra quando picchia forte il sole, ci sono circa 5mila ecoballe, provenienti anche da altri Cdr campani. «Quando il telo sarà sollevato - spiega Francesco Infantino, il direttore dell’impianto ex Cdr - non sarà facile togliere le ecoballe. Dal 2003 ad oggi il fil di ferro che le compattava ha senz’altro ceduto, rimozione e trasporto saranno opere complicate. Chissà che troveremo, qui sotto». L’ulteriore esposizione agli agenti atmosferici, una volte scoperto il bubbone, sarà da evitare. Nell’impianto adiacente dello Stir lavorano i 51 dipendenti appena transitati, a tempo indeterminato, in «Irpiniambiente». E nell’arco di poche centinaia di metri ci sono case e campi coltivati, che ormai da sette anni convivono con le ecoballe. E hanno già fatto i conti con il disastro ambientale dell’Irm. «Dal 2003 cominciò l’accumulo - ricorda l’ex presidente dell’Asa, Antonio De Gisi, che abita ad un chilometro -. L’area residenziale a ridosso di quella industriale di Pianodardine e dei comuni viciniori, nella gestione delle varie emergenze rifiuti, ha coabitato con un notevole problema ambientale come quello della presenza dell’ex Cdr. Ma le ecoballe hanno peggiorato il tutto in modo esponenziale. Speriamo che finisca presto, ma intanto c’è già chi ha pagato prezzi altissimi». Come la famiglia Gaeta, ad esempio. Abitava a cento metri dall’area del Cdr, ora la villetta è vuota da anni, i suoi abitanti si sono trasferiti ad Avellino. E quante proteste sono giunte dall’adiacente Manocalzati? Le ricorda il sindaco Pasquale Tirone («anatemi sacrosanti»), uno tra i primi cittadini più combattivi della Valle del Sabato. Ha cercato di contenere l’ira dei residenti delle masserie. Ma in zona non sono stati pochi i nuclei costretti alla diaspora. Insopportabile il lezzo d’estate, soprattutto quando il sole fa ancor più marcire i rifiuti inzuppati dalle piogge. L’acqua ha gonfiato le balle, le ha smostrate, quelle poste al livello stradale hanno una pancia debordante che prelude allo sfaldamento completo dei cubi, immersi in mezzo metro d’acqua e percolato. «Ogni giorno occorrerebbero duecento autobotti per aspirare il percolato che si forma in continuazione - ammette l’ingegnere Infantino - Il consorzio Salerno provvede ogni tanto ad abbassare il livello del liquido putrido e pericoloso, di circa 60 centimetri, in cui sono immerse le ecoballe scoperte». Tutto ciò, al di là dei normali e possibili rimedi (pozzetti, aspirazioni), ha portato ad una decomposizione complessiva delle ecoballe stoccate a Pianodardine, sia quelle coperte che quelle scoperte. «Almeno un 40% dell’intero quantitativo - prevede Infantino - non sarà possibile toglierlo con i ”cigni”, le piccole gruette che afferrano dai lati le ecoballe». E questa condizione di lunga permanenza ha determinato tutti i problemi che si possono immaginare: puzza non appena le temperature sono meno rigide, presenza di topi contro i quali si procede con periodiche disinfestazioni e l’apposizione di trappole, monitoraggio dell’aria con una centralina dell’Arpac, presenza costante di un presidio dei vigili del fuoco con quattro unità ed un’autobotte, sorveglianza notturna con vigilantes e custodi di Salerno 2. Certo, il confronto con siti più grandi - come Taverna del Re, a Giugliano - non regge. Lì le ecoballe sono molte, davvero molte di più, ci vorranno mesi, forse anni per toglierle. Qui, invece, la partita si potrebbe chiudere prima. «IrpiniAambiente - annuncia l’amministratore, generale Francesco Russo - vuol gestire la fase con la massima sollecitudine e attenzione». Vedremo. Quando le ruspe arriveranno, e porteranno via il bubbone, la ferita di Pianodardine sarà meno profonda, un po’ meno dolorosa.

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