Rifiuti, bufera sull'Asa; Romano si dimette
«Si chiude qui la mia storia all’Asa». Angelo Romano lascia la presidenza che occupava da circa quattro anni. Il presidente rassegna dimissioni «con effetto immediato e natura di irrevocabilità». Il suo tono è perentorio, quasi a non voler ammettere repliche. Poca voglia di commentare una decisione che arriva a sorpresa per chi è estraneo alle politiche aziendali. Le motivazioni sono espresse in poche righe, indirizzate ai rappresentanti del consiglio di amministrazione. Romano non si nasconde e rappresenta chiaramente i motivi di una scelta dolorosa ma coraggiosa. Alla base della decisione vi sono forti contrasti con il nuovo amministratore delegato dell'azienda, Sheila Chiusolo. Romano aveva già mal digerito alcune decisioni assunte dalla rappresentante della parte privata in seno al cda. Ma la parola fine l'ha scritta dopo un gesto che non ha esitato a definire «inqualificabile»: l'assunzione ex novo di undici addetti. E poco importa se l'Ufficio provinciale del lavoro ha posto la prerogativa vincolante del parere positivo del cda. Per il presidente resta il gesto. Aggravato da una condizione che il suo rigore morale gli ha impedito di accettare: sette dei nuovi assunti sono dipendenti del gruppo Pescatore, che fa riferimento agli azionisti di minoranza dell'Asa. Un presupposto che rischia di far scivolare l'accaduto in acque torbide, trascinandosi dietro il buon nome dell'azienda. Romano ha confidato ai suoi più stretti collaboratori che la sua serietà umana e professionale gli impediva di digerire un nuovo provvedimento «spregiudicato, fortemente incisivo, contraddittorio alla logica aziendale e alla correttezza dei comportamenti. Provvedimento attuato, anche nella forma, in cattiva fede, considerando che di tale atto sono venuto a conoscenza per via fortuita». Il presidente, rientrato dalla convalescenza in seguito a un intervento chirurgico, ha appreso della conclusione della vertenza avviata da undici lavoratori - quattro dell'azienda e sette del gruppo Pescatore - presso l'Ufficio provinciale del lavoro. L'amministratore delegato aveva concordato l'assunzione ex novo di congiunti dei quattro dipendenti diretti - a seguito di abbandono per motivi di salute degli stessi - e di assorbimento degli altri sette addetti. Un provvedimento che, tra l'altro, cozza con le norme statutarie: presidente o amministratore delegato, infatti, possono provvedere ad atti simili solo se gli stessi non gravino per oltre 120mila euro annui sulle casse dell'azienda. «L'operazione costa, invece, all'Asa circa 350mila euro annui». L'ufficio provinciale del lavoro ha chiuso la questione subordinandola al parere del consiglio di amministrazione. Romano - che in quattro anni di presidenza non ha provveduto ad alcuna nuova assunzione - ha visto, però, decadere, in un solo colpo, la fiducia nell'operato del consiglio di amministrazione e la reputazione sua e dell'Asa. Così, dopo aver superato, ma maldigerito, i provvedimenti - di promozione e passaggio di livello - scaturiti dalla conciliazione dello stesso amministratore delegato presso l'ufficio provinciale del lavoro con alcuni dipendenti, ha detto basta. «Considerato - ha scritto ai consiglieri - il clima instaurato nel cda e nella gestione aziendale, il mio ruolo ed il mio comportamento, sempre improntato alla lealtà ed alla condivisione delle scelte (il presidente aveva accolto e mostrato apertura rispetto alla richiesta di maggiore coinvolgimento nelle politiche aziendali, anche nei rapporti con la Provinci e la società di gestione, ndr), comportamento che non può essere mortificato e prevaricato dalle decisione che l'amministratore delegato intende attuare, tra l'altro a distanza e senza alcuna cognizione di causa, rassegno le mie dimissioni». È la terza volta che Romano abbandona il suo incarico. Nelle prime due occasioni è stato convinto a fare un passo indietro.Questa volta, dice, «la mia esperienza all'Asa si conclude qui».