Operazione Pandora Rifiuti, così il clan impose assunzioni nell’emergenza

Rifiuti, così impose assunzioni nell'emergenza

Nelle intercettazioni anche i rapporti tra il medico e la donna del boss: «Vediamoci aumm aumm»
21 gennaio 2010 - Leandro Del Gaudio
Fonte: Il Mattino

Vedersi e incontrarsi «aumm aumm» in periferia, «stando però bene attenti ai carabinieri». È marzo di un anno fa, quando al telefono Adolfo Ferraro parla con Annalisa De Martino, la donna del boss della camorra vesuviana Giuseppe Gallo. Una intercettazione che vale quanto una conferma, agli occhi dei militari: è la dimostrazione delle amicizie altolocate del capoclan vesuviano, che può contare nei mesi della sua latitanza sulla disponibilità del luminare della psichiatria, a capo della direzione sanitaria dell’Opg di Aversa. Al telefono, Ferraro stabilisce un appuntamento con Annalisa De Martino e tra i due sembra esserci piena sintonia. L’appuntamento alla Metropolitana
Bisogna incontrare il latitante, visitarlo, elaborare una perizia sulla sua tenuta psichica, anche se il medico non sa che il suo ufficio è imbottito di cimici.
Ferraro: «Secondo me se lo facciamo sabato mattina, verso le nove, nove e mezza, hai capito? Aumm aumm, risolviamo la situazione».
De Martino: «Ok, sabato».
Ferraro: «Secondigliano, Scampia, non è difficile, se tieni il navigatore lo trovi subito, sta vicino alla metropolitana di Piscinola, l’unico problema è che ci sono una sacco di carabinieri».
De Martino: «Va bene, ho capito».
Ferraro: «Stai attenta però perché te l’ho detto, non sei sola quando cammini».
Una conversazione che ha spinto il gip Aldo Esposito a firmare gli arresti del medico, in una vicenda che impone una premessa: lo specialista va ritenuto innocente fino a prova contraria ed è pronto a dimostrare la propria estraneità alle accuse già a partire dall’interrogatorio di garanzia.
I passi falsi
In un’altra conversazione, è la De Martino a raccomandare prudenza al medico.
De Martino: «Professo’ voi ditemi una cosa, con lui dovete prendere un appuntamento per telefono?»
Ferraro: «Uhm».
De Martino: «O vi vedrete da vicino per, per fare questa».
Ferraro: «No, per telefono va bene ma penso che non ci sono problemi…, perché pensi che ci…? No non credo». (A questo punto, è il gip a chiosare quanto sia «curioso notare come Ferraro chieda alla donna se vi sia un’intercettazione telefonica in corso»).
De Martino: «Non penso».
Insomma, una storiaccia.
Stando al gip Aldo Esposito, che ieri ha firmato ottanta e passa arresti, la vicenda mette in mostra «un clima torbido» di contatti tra Ferraro e la compagna del boss Gallo quantomeno «incompatibili» con il suo ruolo di dirigente dell’Opg di Aversa. Contatti durati due anni, quanto la latitanza del boss. Il conflitto di interessi Non sfugge al gip il ruolo svolto dal medico come perito di parte nei processi a carico di Ciro Vangone (zio di Giuseppe Gallo) che neanche a farlo apposta otterrà il ricovero dell’indagato proprio ad Aversa. Azione ad ampio spettro, dunque, tanto da consigliare altri periti alla donna del boss, da dispensare consigli ai colleghi succeduti negli incarichi privati e dal prendersi a cuore anche il caso di un altro presunto esponente del clan Limelli-Vangone, il «finto pazzo Luigi Mansi». Un conflitto d’interessi o qualcosa in più? Niente dubbi per il gip: arresti con l’accusa di favoreggiamento aggravato dal fine camorristico, in una vicenda che attende ora la versione difensiva.
I capretti ai professionisti
Un clan che poteva contare su appoggi borghesi, anche alla luce dei legami quotidiani che i Gallo-Limelli-Vangone mantenevano con professionisti dell’area vesuviana. È un capitolo ad hoc del voluminoso atto d’accusa frutto di indagini di finanza e carabinieri. A Natale scorso, uno degli affiliati prenotava cento prosciutti San Daniele, capretti, cestini. E gli indirizzi non appartengono a camorristi patentati, ma «professori», «commercialisti», «commendatori». Gli uomini d’oro. Organizzazione verticistica, che poteva contare su quelli che gli inquirenti chiamano gli «uomini d’oro». Come Ennio Fusco, funzionario della Banca di Roma di Sant’Antonio Abate, finito in cella con l’accusa di aver garantito la «pulitura» e lo «scambio» dei proventi illeciti. Entravano monete da cinque o dieci euro - filmate in buste di plastica della spesa, soldi portati a mano da imprenditori amici del clan -, uscivano banconote da 500 euro. Più comode per le tratte internazionali. Attività decisiva, spesso assegnata alle donne. Ed è così che sotto accusa finiscono, oltre a Michela e Carmela Gallo, anche l’impiegata di banca P. R.: quest’ultima, grazie alla sua qualifica professionale di dipendente bancaria, avrebbe cambiato soldi per 206mila euro.
La cassa delle donne
Sono manager in senso stretto: si chiamano Rosaria Vangone, Annalisa De Martino, Michela e Carmela Gallo. Tutte parenti, intervengono a modellare perizie, a raccogliere soldi in cassa comune. Finiscono sotto accusa grazie alla testimonianza di imprenditori pentiti dopo anni di asservimento al clan, stretti in una morsa criminale sempre più al femminile.
Appalto sui rifiuti
Nel più importante atto d’accusa al malaffare vesuviano, non potevano mancare i rifiuti e gli appalti dell’emergenza che ha colpito la Campania. È così che vengono incendiati tre mezzi della «Igiene urbana» di Boscotrecase, ditta costretta poi a pagare 5mila euro ma anche ad assecondare il clan in altre circostanze: come le assunzioni imposte dalla camorra dei Gallo-Limelli-Vangone.
I codici
Come dire droga e armi mettendo in conto le intercettazioni. Ecco il linguaggio del boss: «’O per e ’o muss», «un’imbasciata di una macchina che fa 300 all’ora», «scarabeo 100», «caramelle», «capitoni e sogliole» sono parole che indicano la droga. Altri termini per parlare di armi: «Scurrenta», «tric-trac», «la macchina forestiera», «sciatabano» sono chiaramente riferibili ad armi da fuoco.

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