L’annus horribilis tra psicosi diossina e frontiere chiuse

Altolà della Commissione Ue e controlli a tappeto nelle aziende nei giorni dell'emergenza rifiuti
20 gennaio 2010 - Paola Perez
Fonte: Il Mattino

Ottantatré allevamenti sotto sequestro, oltre seicento caseifici costretti allo stop temporaneo, un danno calcolato in almeno 20 milioni per le aziende e incalcolabile in termini di immagine. Sono questi i numeri della stagione più buia per la mozzarella campana, tra marzo e aprile del 2008, quando infuriava l’emergenza rifiuti, nelle campagne bruciavano cumuli di copertoni e in tutto il mondo suonava il tam-tam del latte alla diossina. Mentre la Commissione europea chiede nuove analisi sui centri di produzione, minacciando pesanti sanzioni contro l’Italia, molti paesi cominciano a chiudere le frontiere. Bloccate le importazioni a Taiwan e Corea del Sud, «fermo cautelativo» delle merci in Giappone, controlli rigidi alla dogana di Mosca, a Parigi la specialità di bufala viene messa al bando, Berlino si prepara a seguire l’esempio francese. Ma lo schiaffo più sonoro arriva dagli Stati Uniti. La vicenda riempie le pagine del New York Times, che non risparmia frecciate alla patria della pizza e condisce il reportage con un’amara dichiarazione di Silvio Ursini, inventore del primo mozzarella-bar nella Grande Mela: «È la solita triste storia italiana». L’allarme viaggia naturalmente anche sul web, tra verità e menzogne, e c’è chi arriva a mettere in mettere in rete fotomontaggi con le bufale che pascolano beate tra i cumuli di immondizia. La reazione è immediata, si cerca di salvare il salvabile e garantire sicurezza ai paesi importatori. A fine marzo Massimo D’Alema, ministro degli Esteri, annuncia che Bruxelles ha dato il semaforo verde ai nostri prodotti. «Tutto è bene quel che finisce bene», commenta il presidente del consiglio Romano Prodi. Ma il calo di vendite pesa già come un macigno: mezzo milione la perdita d’incasso ogni giorno, secondo le stime della Coldiretti. A questo punto c’è una sola via di uscita, indagini a tappeto per dimostrare al mondo intero che il formaggio campano non fa male. Il ministro della Salute, Livia Turco, allontana il rischio di sanzioni europee con un piano straordinario di controllo nei casefici. Nella prima tranche vengono passate al setaccio 400 aziende nelle province di Napoli, Caserta e Avellino; poi tocca a Benevento (25) e infine a Salerno (185). Finché il test non darà un risultato rassicurante, fa sapere il ministero, nessuno potrà mettere in vendita un solo grammo di mozzarella. Il sistema di screening è capillare. Per avere il risultato delle analisi occorrono circa quindici giorni e bisogna rivolgersi soltanto ai laboratori indicati dalla commissione europea: Porto Marghera, Bologna, Teramo e Amburgo. Ogni singolo test costa dagli 800 ai 1.000 euro. In caso di esito sfavorevole della campionatura presso uno stabilimento si parte alla ricerca dell’allevamento che ha fornito il latte: una volta individuata la stalla «contaminata», i controlli vengono estesi alle aziende limitrofe nel raggio di tre chilometri. Tutte le aziende del settore, comprese quelle al di sopra di ogni sospetto, vengono così obbligate a uno stop forzato nell’interesse comune: salvare la mozzarella. Che nel frattempo comincia a sparire anche dalle salumerie e dai ristoranti. L’esito del monitoraggio va presentato a Bruxelles per metà aprile, ed è una corsa contro il tempo. Analisi e controanalisi allontanano lo spettro dei veleni e circoscrivono le zone di probabile origine della contaminazione: una delle aree che restano segnate in rosso è quella compresa tra San Cipriano d’Aversa e Villa Literno, i sospetti convergono sui continui incendi di materiale plastico e copertoni.

Powered by PhPeace 2.7.16