Acerra, la Fibe ricorre al giudice contro il decreto
Non solo i sindaci per lo scippo della Tarsu: ora contro il decreto 195 del 30 dicembre scorso, che chiude l’emergenza rifiuti, scende in campo anche la Fibe-Impregilo. E trascina in tribunale la presidenza del Consiglio dei ministri. L’ha fatto attraverso la sua controllata Fisia Italimpianti che ha deciso di presentare ricorso presso il tribunale di Genova senza attendere eventuali modifiche durante la conversione in legge del decreto. In ballo ci sono circa 750 milioni di crediti vantati che il decreto cristallizza. Interessi compresi. Il provvedimento di fine anno è una doccia gelata per la società ex Iri con sede a Genova costretta a mettere in cassa integrazione straordinaria i suoi 250 addetti. Nonostante i crediti vantati. Da qui il ricorso per violazione del diritto di proprietà, violazione della normativa europea in materia di libertà d’impresa e mancato rispetto dei tempi di pagamento dei fornitori. Il ricorso, presentato dagli studi legali Giuffré (Roma) e Maresca (Genova), ripercorre tutta la genesi del contezioso: dalla gestione del ciclo dei rifiuti e la costruzione degli ex cdr prima della rescissione del contratto (circa 350 milioni) sino ai soldi anticipati per erigere e ultimare il termovalorizzatore di Acerra (quasi 400 milioni di euro). Una partita, stando al ricorso, di circa 750 milioni. E per capirla la (complessa) partita occorre ripartire da quella gara d’appalto vinta dalla Fibe-Fisia nel ’99 per gestire il ciclo campano dei rifiuti. Contratto poi rescisso nel novembre del ’95. Per quei sei anni la società vanterebbe la somma di 350 milioni tra tariffe mai incassate per smaltimento e, soprattutto, per la costruzione degli ex cdr ora passati alle società provinciali. La parte più delicata. Per somma richiesta (200 milioni) e per reato contestato: violazione del diritto di proprietà. Gli impianti, infatti, sono su terreni della Protezione civile ma costruiti, è motivato nel ricorso, dalla Fisia. E formalmente non c’è stato mai nessun passaggio di proprietà anche se nel contratto iniziale era previsto. Più intricata la situazione dell’inceneritore di Acerra: il gruppo non ha mai riscosso i soldi anticipati per costruirlo e ultimarlo (su suoli di sua proprietà): quasi 400 milioni di euro. Una partita delicata su cui il capo della Protezione civile Guido Bertolaso, il 28 luglio scorso, durante un’audizione in commissione rifiuti aveva sollevato il problema: «Stiamo quantificandone il costo», spiegava. Somma, ovviamente, che il colosso milanese vuole riavere indietro nonostante sia uscito fuori dal business campano nei giorni dell’ermergenza rifiuti. Contava nel decreto di fine anno. E, invece, non solo non incassa ma si ritrova l’impianto «senza alcun titolo, la gestione e redditività dell’impianto tuttora di sua proprietà all’A2A». Da qui la decisione di presentare il ricorso. Anche perché il termovalorizzatore rende, secondo le stime aziendali, circa 120 milioni di euro l’anno. Ma nemmeno un centesimo finisce nel portafogli del colosso delle costruzioni: i ricavi della vendita di energia elettrica vengono divisi, da decreto, tra commissariato e la A2A. Da qui la richiesta ai magistrati di congelare gli effetti della nuova norma.