Atti e dichiarazioni di collaboratori di giustizia depositati dal 2002

Cosentino, così il gip ha bocciato l'ipotesi corruzione

Bonifiche a Giugliano: ecco come Chianese (Resit) imponeva le sue discariche
13 gennaio 2010 - Rosaria Capacchione
Fonte: Il Mattino

Una richiesta, sette integrazioni, decine e decine di faldoni di atti, verbali di intercettazioni, dichiarazioni di collaboratori di giustizia. È racchiusa nell’introduzione dell’ordinanza di custodia cautelare a carico di Cipriano Chianese, l’avvocato e signore dei rifiuti, la storia dell’inchiesta a carico del sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, indagine della Procura di Napoli di cui molto si è detto e scritto ma ancor di più si è favoleggiato: rispetto ai contenuti, alle contestazioni, alle ipotesi di reato, ai tempi di esecuzione. Un’indagine unica, aperta nel 2001, approdata all’ufficio gip di Napoli nel 2002 e di volta in volta ampliata nei contenuti e nel numero degli indagati, fino ad arrivare alla forma attuale, con sette richieste di custodia cautelare in carcere per reati che vanno dall’estorsione al falso, dall’abuso d’ufficio alla truffa e alla corruzione, il tutto con l’aggravante del favoreggiamento della camorra. L’attuale «contenitore» era stato depositato al gip di Napoli il 18 giugno del 2008. Atti integrativi sono stati trasmessi il primo settembre del 2008, il 16 febbraio del 2009 (sette faldoni), il 27 febbraio 2009, il 13 maggio 2009, il 7 luglio 2009, il 27 ottobre 2009, il 23 novembre 2009. Atti che sono, nella sostanza, dichiarazioni di collaboratori di giustizia utilizzate dai pm antimafia Alessandro Milita e Giuseppe Narducci per rafforzare le posizioni degli indagati: Nicola Cosentino, Cipriano Chianese, Giuseppe Valente, Giulio Facchi, Claudio De Biasio, Bruno Orrico, Sergio Orsi. Una parte è stata utilizzata dal gip Raffaele Piccirillo nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di Cosentino, firmata lo scorso novembre e la cui esecuzione è stata negata dal Parlamento, accusato di concorso esterno in associazione camorristica. Provvedimento emesso, dunque, nell’ambito di un fascicolo-stralcio della stessa inchiesta, e richiesto nel febbraio scorso estrapolando una sola delle contestazioni. Atti che non sono serviti, invece, a dimostrare l’ipotesi di corruzione contestata al sottosegretario e coordinato regionale del Pdl. Il gip, in questo caso, ha ritenuto del tutto insussistenti gli elementi a suo carico rigettando le richieste. La Procura di Napoli aveva ritenuto Cosentino mandante e «determinatore» di una presunta azione corruttiva compiuta da Giuseppe Valente, all’epoca dei fatti amministratore del consorzio Impregeco. Ipotesi che nella ricostruzione degli inquirenti appare piuttosto complessa: il subcommissario Giulio Facchi si sarebbe posto «a disposizione» di Valente, Cosentino e Orsi, accettando di essere «retribuito» da Valente mediante la promessa di riconoscere i debiti del consorzio Impregeco nei confronti della Resit di Chianese. Facchi, dal canto suo, si sarebbe impegnato a favorire Valente, autorizzando, tra l’altro, il progetto esecutivo per la riqualificazione ambientale della cava Lo Uttaro. Il procedimento principale nasce, quindi, nove anni fa e, in varie fasi, ha già ricostruito la connection rifiuti-politica-camorra. Un affare nel quale il ruolo di Cipriano Chianese è sempre stato centrale. Scrive il gip Raffaele Piccirillo nell’ordinanza cautelare a suo carico, eseguita lunedì: «Protagonista indiscusso tanto delle azioni truffaldine quanto di quelle estorsive contestate nei primi cinque capi della richiesta, è stato senza dubbio un imprenditore mafioso dall’anno 1988 all’anno 1996». E ancora: «La varietà tipologica, la crucialità strategica e la durata dei contributi arrecati da Chianese alla vita e all’affermazione del clan dei Casalesi sono tali da delineare una sostanziale intraneità associativa, di rango organizzatorio - dirigenziale, riferita precipuamente al reparto imprenditoriale dell’attività criminale». Inquietanti alcuni dettagli che riguardano i suoi rapporti con il subcommissario Facchi, al quale sostanzialmente aveva imposto le sue discariche. Nel 2002, avendo letto su un giornale dell’intenzione di Facchi di denunciare le infiltrazioni della camorra nel sistema dei rifiuti, lo aveva chiamato: «Io le volevo fare una richiesta, io adesso le manderò due righe dicendole ”egregio dottor Facchi, io la ringrazio per la sua collaborazione, però se lei non mi mette scritto che sono una persona per bene, una persona che è passata attraverso travagliate esperienze giudiziarie uscendone sempre indenne, non voglio più fare la discarica...». In quello stesso periodo, secondo quanto emerso dalle indagini, Chianese veniva definito da alcune persone intercettati o interrogate come «l’avvoltoio, l’aguzzino, colui che muove a telecomando i carabinieri, il ricattatore, il truffatore, il camorrista che fa i ricatti».

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