Il vestito nuovo del vecchio clan dai rifiuti agli investimenti nell’Est
Punto e a capo. Nuovo capitolo, nuova storia, nuovi scenari da disegnare e indagare. Se il calendario sarà rispettato, se la doppia sentenza di condanna dovesse superare anche l’esame della Suprema Corte, entro la fine di questa settimana si chiuderà uno dei capitoli più importanti della storia criminale della provincia di Caserta. Quattordici anni per ricostruire il secolo breve dei Casalesi, con la veloce e sanguinosa successione ad Antonio Bardellino. La fine di un’epoca coincide, però, solo virtualmente con la fine del processo Spartacus. Perché, in realtà, quello che i giudici di piazza Cavour dovranno rileggere tra oggi e giovedì, salvo rinvii, non è l’intero procedimento. Per ragioni di strategia dibattimentale ciò che è arrivato alla conclusione è solo lo stralcio, anche piuttosto sintetico, del processo 3615, nato nel 1993 assieme ai primi verbali di Carmine Schiavone, primo collaboratore del clan dei Casalesi. È, in sostanza, la sineddoche della repressione alla camorra imprenditrice della provincia di Caserta. In realtà il clan è qualcosa che va ben oltre le ventiquattro posizioni in discussione. Non solo omicidi, non solo estorsioni, non solo gli schieramenti in armi e la rapida successione di alleanze mutevoli. Ciò che è stato raccontato nelle oltre tremila pagine della sentenza di primo grado è la nascita di un impero che è riuscito a sopravvivere anche alla più dura repressione dello Stato. Un esercito di duemila uomini Sono quasi mille e cinquecento gli indagati nel procedimento 3615: affiliati, fiancheggiatori, colletti bianchi il cui ruolo non è stato compiutamente accertato o sul cui operato sopravvivono ombre e sospetti nonostante le sentenze. Nel Grande Blitz del 5 dicembre 1995 furono arrestate 136 persone, altrettante furono indagate a piede libero. Nel secondo troncone, che il16 ottobre del 1996 portò all’arresto di una ottantina di persone - in prevalenza imprenditori e politici di primo e secondo piano - la cifra fu doppiata. Sono quasi quattrocento gli indagati, invece, nel procedimento che va sotto il nome di «Regi Lagni» e che si è rivelato un autentico flop giudiziario: solo 17 condanne definitive. E sempre alcune centinaia gli indagati nei vari tronconi dell’inchiesta sullo scandalo Aima-Italburro-Parmalat: il filone sulle collusioni nel settore agroalimentare. Il 30 settembre del 2008, in piena emergenza stragista, vengono arrestati gli uomini (e le donne) che hanno retto il clan durante i processi: quasi 500 affiliati censiti attraverso un vero e proprio libro contabile, attivi in un periodo che arriva fino al dicembre del 2004. È l’inchiesta che va sotto il nome di Spartacus 3. La stagione delle verifiche Le conoscenze giudiziarie della Dda di Napoli, dopo oltre quindici anni di lavoro, si sono trasformate in decine di processi e sentenze definitive. Ma non è stato questo l’esito dei maxi, quei procedimenti nei quali si è affrontata l’unicità dell’organizzazione camorristica dei Casalesi. Spartacus, per esempio. In Cassazione c’è il troncone principale del primo procedimento. Quello secondario, per così dire, nel quale vengono giudicati gli imputati di associazione camorristica, è ancora fermo in appello. Il 7 gennaio, salvo ulteriori intoppi, dovrebbe iniziare. Spartacus 2, ovvero la camorra e la politica: definitive le sentenze-stralcio, concluse con numerosissime assoluzioni soprattutto dei politici (Antonio Ventre, Alfredo Pozzi, Vincenzo Cappello tanto per citare qualche nome), è ancora ferma in appello quella sul troncone principale. Tra gennaio e febbraio la sentenza. In attesa della sentenza di appello anche il processo per gli appalti Tav (il primo grado è chiuso dal 2003). I nuovi scenari E nel frattempo? Nel frattempo la camorra cresce, i nuovi capi si sostituiscono ai vecchi. C’è da fare soldi, c’è da rimpiazzare la struttura che ha gestito discariche e raccolta dei rifiuti, c’è da sfruttare la risorsa-energie. Ai vertici del clan, come era accaduto in Sicilia ai tempi del maxiprocesso di Palermo, si è già da tempo consumata una successione incruenta e intrafamiliare. Francesco Schiavone, il capo detto Sandokan, è tra gli imputati che aspettano la decisione di oggi della Cassazione. Non ha condanne definitive alle spalle, ma altri ergastoli in appello. Un eventuale annullamento del processo cambierebbe poco nella sua posizione detentiva, molto gli farebbe guadagnare in prestigio. A lui e al figlio Nicola, che indagini recenti indicano a capo del cartello casalese al pari con i due capi latitanti, Michele Zagaria e Antonio Iovine. Nicola Schiavone, dicono gli investigatori, è l’uomo nuovo, il capo proiettato verso i paesi dell’Est. Quale il testimone che gli è stato passato?