Cosentino salvo Resta aperto il caso Campania
Niente arresto. Né dimissioni. Nicola Cosentino conserva sia la libertà personale che la scrivania di sottosegretario all'Economia. Nel giorno in cui Silvio Berlusconi torna ad attaccare la giustizia italiana, ci pensa l'Aula di Montecitorio a salvare il ras del Pdl campano accusato di collusioni con la camorra.
Sulla richiesta d'arresto e sulle tre mozioni di sfiducia presentate da Pd, Di Pietro e Udc, maggioranza e opposizione mantengono all'apparenza i ranghi compatti. All'apparenza, appunto. Perché il travaso di franchi tiratori da una parte e dall'altra è stato mascherato col più efficace dei maquillage: l'aritmetica.
L'esito finale del Cosentino day alla Camera era già stato messo in cassaforte. Eppure, sia tra i banchi della maggioranza che tra quelli dell'opposizione, la vigilia era stata abbastanza carica di tensioni. Cosentino o non Cosentino, l'ennesimo strappo i tra berluscones e finiani avrebbe riacceso la miccia delle polemiche dopo qualche giorno di tregua (seppur armata). Ancora maggiori erano le preoccupazioni in casa Pd: all'indomani delle divisioni sul No B. day, e soprattutto alla luce della ferita ancora aperta per le assenze al voto sullo scudo fiscale, quali effetti collaterali avrebbe provocato un significativo spostamento di franchi tiratori verso le ragioni di Cosentino? Per non parlare delle tante malignità (bipartisan) sui dipietristi, che avevano addirittura meditato - a sentire le riflessioni di qualche scafato parlamentare pd - «il tranello di usare il voto segreto per dire no all'arresto del sottosegretario e poi accusare alcuni di noi di inciucio col nemico».
Tutto questo, se c'è stato, è stato coperto dalla matematica. Sul «no» alla richiesta di arresto per Cosentino, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, il fronte Pdl-Lega si presenta con 309 deputati (assenti 4 leghisti e 16 pidiellini, tra cui Berlusconi, Scajola, Micciché, la finiana Flavia Perina e Cosentino stesso); il Pd, invece, porta in aula il 95,69% dei deputati (mancano soltanto Bachelet, Beltrandi, Bonavitacola, Bucchino, D'Alema, De Torre, Luongo, Metà più Farina, che è in missione). I democratici, che pure scontano qualche maldipancia palese (Tempestini) e il voto contrario della truppa dei Radicali, sono in gruppo pi presente in Aula. Battono anche i dipietristi, che al momento del voto sull'arresto di Cosentino sono l'87,50% del totale.
Lo score che mette Cosentino alriparo dagli arresti premia anche la maggioranza che lo sostiene. I «no» alla custodia cautelare sono 360, ben 51 sopra la somma dei deputati di Pdl e Carroccio presenti a Montecitorio. Fabrizio Cicchitto esulta: «11 voto a scrutinio segreto ha messo in evidenza che un gran numero di deputati, anche al di là dei confini della maggioranza, ha respinto un'autentica forzatura caratterizzata da un indubbio fumus persecutionis». Gaetano Quagliariello si spinge addirittura oltre: «Se posso esprimere un'opinione - dice il vicecapogruppo del Pdl al Senato - a sensazione dico che queste schede in più vanno cercate nella nuova maggioranza del Pd. Quanto ai Radicali quella del garantismo è una loro vecchia tradizione».
Dentro il Pd vanno in apprensione, ma dura poco. Interviene l'aritmetica, che sta anche dalla parte dei democratici. I «sì» all'arresto, infatti, sono 226. Die ci in pi della somma dei deputati di Pd e Idv presenti, esclusi i Radicali.
A garantire l'ampia maggioranza a Cosentino sono gran parte dei voti di Udc, dei rutelliani (ma Tabacci ha smentito le ricostruzioni che lo davano tra i contrari) e dell'Mpa di Lombardo. «I franchi tiratori - commentavano in serata nelle stanze del gruppo pd - si sono silenziosamente compensati».
Il copione si ripete nel pomeriggio, quando vanno in votazione le tre mozioni di sfiducia. Che cadono una dietro l'altra: quella di Di Pietro (222 sì, 303 no), quella del Pd (254 sì, 304 no), quella dell'Udc (255 sì, 304 no). C'è una piccola variante: i finiani Fabio Granata eAngela Napoli mettono a verbale la loro astensione chiudendo una giornata carica di pathos. Quello del discorso di Casini, memore di una Prima Repubblica morta nonacausadi Mani Pulite, ma «perché chiusa in una difesa cieca della propria classe politica». Quello dell'intervento di Andrea Orlando, il neo responsabile Giustizia del Pd che ha messo l'accento sull'omertà troppo spesso spacciata per «solidarietà politica». E poi la rissa tra il pdl Paniz e il pd Minniti. Quindi l'ira di Di Pietro («Abbiamo vietato alla magistratura di arrestare una persona che sta ancora conducendo un'attività mafiosa di stampo camorristico»). Infine la sigaretta in cortine del Cosentino salvato, ultimo capitolo della sua giornata: «o seguito tutto in religioso silenzio». «Non si è mai contenti di difendersi da accuse così infamanti». «Prendo atto di un voto che va oltre il numero della stessa maggioranza». «Chiedo che sia un giudice naturale ad accertare la veriti».
Tutto secondo i piani. Il sottosegretario che insisteva sulla candidatura a governatore campano proprio per otteneie il risultato di ieri guarda oltre. C'è chi giura che il suo nome rimane ancora in campo per il dopo Bassolino. Chi allarga lo spettro agli ormai soliti nomi: Stefano Caldoro, Gianni Lettieri, Pasquale Viespoli, Arcibaldo Miller, l'ex pd Riccardo Villari (è la carta dell'Mpa), e - perché no? - Guido Bertolaso. Molto dipenderà dal candidato nel Lazio, legato sempre alle solita logica di guerra. Un berlusconiano qua, un finiano là. Un finiano qua, un berlusconiano là. Senza tralasciare la madre di tutte le domande: e l'Udc?