Il gigante di fango: viaggio tra le rovine di Impregeco
Nello stanzone, tra vecchi computer e fascicoli polverosi, due dipendenti, un uomo e una donna, fissano lo schermo del pc alla ricerca di notizie sul proprio futuro: sono i superstiti dipendenti della Impregeco, società consortile da due anni in liquidazione e finita nel mirino della magistratura dopo le confessioni del suo ex presidente, Giuseppe Valente. Al quarto piano del comparto G2 del centro direzionale, dietro la porta a vetri con lo stemma della Regione Campania, ci sono ormai solo scrivanie vuote, libri abbandonati e carte alla rinfusa. Nella stanza accanto, la scrivania di Pina D’Alterio, ex dirigente della società e attuale liquidatrice. Il suo nome figura nell’ordinanza con la quale il gip Raffaele Piccirillo ha chiesto al Parlamento l’arresto del sottosegretario Nicola Cosentino. Racconta Valente in un interrogatorio: «L’Impregeco fu un ente certamente voluto da Bassolino tanto che la stesura del documento di convenzione con il quale si affidava la gestione degli impianti di tritovagliatura all’Impregeco fu redatta dallo Studio Soprano – quanto meno in modo informale – con la collaborazione di De Luca Felicio e D’Alterio Pina». Ora la liquidatrice sta tentando di far quadrare i conti di questa società fantasma: una ventina di milioni di euro da riscuotere dai Comuni e da girare al commissariato di governo. Compito quasi impossibile: «Ad alcune amministrazioni abbiamo già fatto molte ingiunzioni di pagamento senza alcun risultato». La liquidatrice riassume in poche battute la breve, e ingloriosa, storia della Impregeco: «La società – spiega – nacque gennaio 2002 e diventò attiva nel febbraio dello stesso anno. Il suo compito era quello di coordinare le attività dei Comuni dei consorzi di Napoli 1 e 3 e di Caserta 4 e di gestire gli impianti di tritovagliatura in attesa che entrassero in funzione i Cdr gestiti dalla Fibe». In realtà, l’avvio dei primi due Cdr, quello di Giugliano e quello di Caivano, è quasi contemporanea alla creazione della consortile. «Ci fu affidato anche l’impianto di Paolisi, nei presso di Benevento, che gestimmo direttamente», racconta la D’Alterio. Perché un impianto del beneventano fosse gestito da un consorio tra comuni della provincia di Napoli resta un mistero. Secondo i magistrati che hanno indagato sulla Ecoquattro (la partecipata del consorzio Ce4 dei quali erano soci i fratelli Orsi che, secondo la Dda, sarebbero stati legati ai casalesi) l’obiettivo della Impregeco sarebbe stato quello di creare una cordata alternativa a Fibe. E dietro questa decisione ci sarebbe stato anche l’onorevole Cosentino. La società lavorò fino al 2004. Presidente era Giuseppe Valente che presiedeva anche il consorzio Ce4 ed era in quota Forza Italia. Il vicepresidente era Michele Caiazzo, cugino dell’allora sindaco di Pomigliano, attualmente consigliere regionale; amministratore era Giacomo Gerlini, ex sindaco di Giugliano e amministatore di un’altra consortile, la Gesen (entrambi in quota Ds). Nel 2007 la Impregeco fu fermata dall’interdittiva antimafia della prefettura di Napoli. Valente era già stato indagato per la gestione della discarica Bortolotto ed era poi stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta su Ecoquattro di cui Impregeco possedeva trenta azioni. Gerlini, invece, era stato sindaco e consigliere del Comune di Giugliano, poi sciolto per mafia, e recentemente coinvolto nelle indagini su un complesso edilizio sponsorizzato dai clan Nuvoletta e Mallardo. Presidente del collegio sindacale era Raffaele Chianese, ex vicesindaco di Mondragone, poi accusato di truffa ai danni dello Stato, e capo della segreteria dell’ex ministro Mario Landoldi, a sua volta indagato. Un intreccio a dir poco inquietante.