Fiume di veleni nell'ex-discarica di Pianura
Un fiume di veleni nelle viscere di Pianura. Devastante, si è insinuato nel terreno per anni, inquinando e distruggendo una delle terre più fertili della Campania:aree verdi incastonate tra il Parco metropolitano delle Colline di Napoli e il Parco regionale dei Campi Flegrei. Quel veleno ha un nome: «percolato». È un liquido che si origina dall’infiltrazione di acqua nella massa dei rifiuti o dalla decomposizione degli stessi. Oggi un’inchiesta avviata dalla Procura all’indomani degli scontri di piazza avvenuti a Pianura - in piena emergenza rifiuti - è giunta ad una prima conclusione: dal 2001 ad oggi, il percolato che avrebbe dovuto essere prelevato dai cinque diversi invasi che compongono la discarica di Contrada dei Pisani, anziché essere smaltito sarebbe stato riversato nella viscere della terra. È uno scenario inquietante quello che emerge dalle prime consulenze consegnate al pubblico ministero Stefania Buda. L’inchiesta avviata per verificare l’insorgenza di malattie anche gravi, come neoplasie e leucemie che pare siano cresciute nel quartiere della periferia occidentale in maniera esponenziale negli ultimi anni, approda a un punto cruciale. Ieri i carabinieri del Noe - il nucleo specializzato nel perseguire i reati ambientali - coordinati dal vicecomandante Antonio Rusciano, hanno denunciato cinque persone: avrebbero avuto secondo l’accusa un ruolo determinante nella violazione della normativa sullo smaltimento di rifiuti pericolosi. Nel mirino degli investigatori è finita la «Electrica», società a responsabilità limitata che avrebbe dovuto garantire le operazioni di smaltimento di ben 400mila metri cubi di percolato. Ma dalle consulenze emerge la bonifica non è mai partita. Una serie di sopralluoghi, oltre all’analisi incrociata dei dati dei documenti acquisiti dai carabinieri presso la Prefettura di Napoli, il Commissariato di Governo e l’Enea (che per due anni ha avuto in egstione la discarica dei Pisani) hanno indotto gli inquirenti a ritenere che nulla sia stato effettivamente smaltito. I veleni, insomma, così come venivano estratti sarebbero stati riversati da dove venivano. E questo, sospetta l’accusa, per due motivi. Il primo: per risparmiare sui costi elevatissimi derivanti da una corretta procedura di smaltimento; il secondo: perché, reimmettendo nel terreno il percolato sulla massa umida dei rifiuti interrati, si sarebbe incrementata la produzione del biogas, che viene poi venduto all’Enel per la produzione di energia elettrica. Questa ricostruzione investigativa ha indotto il pm ad iscrivere nel registro degli indagati cinque persone. Basta fare un po’ di calcoli per rendersi conto di come -in base all’ipotesi accusatoria - un’area vastissima di terreno che andava bonificata si sarebbe trasformata in una vera e propria bomba ecologica. Infatti dalle stime presentate nel 1999 e nel 2000 dalla stessa ditta che precedentemente alla «Electra» si occupava di smaltimento nella zona dei Pisani emerge la cifra dei 450mila metri cubi di percolato che si sarebbe dovuto smaltire con prelievi equivalenti a 200 metri cubi al giorno, per una media di quattro-cinque anni. Emerge dalle pagine di questa indagine anche un altro particolare. La società «Electra» avrebbe formulato richiesta per ottenere il permesso di poter smaltire il percolato sul posto, e cioè all’interno della megadiscarica. Ma quel permesso non sarebbe mai stato rilasciato dagli organi competenti. Una volta terminata - nel 2001 - la messa in sicurezza della discarica (che nel frattempo ha fatto registrare anche lo sprofondamento della sua sommità di almeno una decina di metri a causa della perdita di liquidi interni) il percolato estratto sarebbe stato poi nuovamente sversato attraverso i bocchettoni per l’estrazione del biogas. Ad oggi, dalle consulenze effettuate per conto della Procura di Napoli, risultano smaltiti correttamente solo poco più di 11mila metri cubi di percolato.