Sprechi e ritardi bonifica di Bagnoli sotto inchiesta
Sprechi, ritardi e inadempienze, questi i mali che la Corte dei Conti - nel rapporto 2009 - identifica per spiegare le inefficienze che hanno allungato i tempi in maniera esorbitante del risanamento di Bagnoli. La magistratura contabile boccia tutti gli attori istituzionali che negli ultimi 15 anni si sono alternati nell’affrontare le varie opere. Dal ministero dell’Ambiente agli enti locali, tutti colpevoli di avere fatto crescere le spese in maniera anomala e di avere cambiato troppe volte i progetti di risanamento. «La congerie di situazioni ostative, di previsioni scarsamente ponderate, di soluzioni alternative non sufficientemente vagliate, di orientamenti più volte modificati, ha causato lievitazione di costi e pesanti ritardi» il verdetto della Corte dei conti. È il documento più duro, la censura più stringente mai effettuata da un organo di vigilanza sulla questione della riqualificazione di Bagnoli. È più che probabile che il documento sia stato redatto sulla scorta di un'inchiesta giudiziaria già in essere sui veleni dell’area occidentale. Ma è più che probabile anche che alla luce della relazione della magistratura contabile scatti una ulteriore inchiesta della Procura su come sono stati spesi i soldi della bonifica, visto che a fronte delle consuete lagnanze degli enti locali e della Bagnolifutura sulla mancanza dei fondi, la Corte dei Conti attesta con dovizia di particolari che per l’area occidentale ci sono stati tanti contrattempi, ma tra questi non ha annoverato quello delle carenze finanziarie. «Per la bonifica ed il recupero dell’area sono stati spesi ad oggi scrive il magistrato istruttore Renzo Liberati - complessivamente 77 milioni e 243mila euro, circa il 30% di una disponibilità totale pari a 259 milioni e 358mila euro; ciò nonostante, i lavori di bonifica dei suoli non sono stati completati, la balneabilità delle spiagge non è stata ancora ripristinata perché i fondali marini ed i litorali non sono ancora stati completamente bonificati a causa della colmata, fonte di continuo inquinamento, che non è stata rimossa». Sostanzialmente - secondo la magistratura contabile ci sono a disposizione del risanamento ancora 182 milioni di euro congelati e non spesi perché non c’è chiarezza su cosa fa ma soprattutto su come farlo: «È di tutta evidenza l’enormità del ritardo - si legge ancora nella relazione di oltre 60 pagine - con il quale si è giunto a dare un segnale concreto per il recupero dell’area di Bagnoli, decisa fin dal giugno 1994 dall’amministrazione regionale con il programma di realizzarla entro il 2004, a 11 anni dalla dismissione dell’Ilva e delle altre industrie datata primo settembre 1991; 6 anni dall’inizio dei lavori di bonifica affidati nel 1996 alla Bagnoli Spa». Le maggiori criticità sono così sintetizzate: «La responsabilità del raggiungimento di risultati così scarsi, non è addebitabile alla mancanza di fondi, che al contrario sono stati elargiti, ma al complesso degli organi istituzionali coinvolti, che si sono appalesati del tutto inadeguati, ciascuno per la parte di competenza, per i compiti loro assegnati e che nel corso di più di un decennio, non sono stati in grado di trovare soluzione alle problematiche che via via si sono presentate, a partire dagli iniziali impedimenti determinati dalla indisponibilità di una discarica dove conferire gli inerti». Come rileva il giudice Liberati la pregiudiziale per iniziare i lavori di bonifica era l’individuazione di un sito quale discarica dove smaltire il materiale di risulta della bonifica, ovvero gli inerti. Si ricorderà che il Comune, a cui spettava l’obbligo di individuare il sito scelse la discarica di Pianura in località Pisani rivelatasi poi inadeguata. «La mancata disponibilità della discarica per lo stoccaggio dei rifiuti inerti ha determinato il blocco delle attività».