Campania Il magistrato indagò per primo sul consorzio Eco4

Cantone: nel business dei rifiuti coinvolti politici di destra e sinistra

14 novembre 2009 - Marco Imarisio
Fonte: Corriere dela Sera

«Non ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Sul business dei ri­fiuti il livello di compromissio­ne con la camorra è decisa­mente bipartisan » .
Raffaele Cantone non si scrolla di dosso il suo passato. Neppure in Germania, dove sta tenendo un ciclo di confe­renze sulla criminalità organiz­zata. Quando finisce di parlare e arriva il momento delle do­mande, ecco che tornano San­dokan, i Bidognetti, il mondo di Gomorra, fino a questi gior­ni, al caso Cosentino. Oggi è magistrato di Cassazione a Ro­ma. Per anni è stato il pm più impegnato contro i casalesi. Il primo a indagare su Eco4, il consorzio divenuto celebre per aver creato una perfetta so­vrapposizione tra cosa pubbli­ca e camorra, è stato lui.
La situazione è davvero co­sì deprimente?
«Nulla di cui sorprendersi. In una realtà come il Sud il bi­nomio affari-politica si è tra­sformato in un puro meccani­smo clientelare».
Sta dicendo che Eco4 non rappresenta un caso limite?
«Le società a capitale misto pubblico-privato in alcuni ca­si sono state un successo. Pen­so a Milano, a Brescia».
Altrove, al Nord, non è che sia un trionfo.
«Certo, possono essere usa­te per creare consenso, più o meno lecito. Ma al Sud…»
Al Sud?
«Diventano l’isola del teso­ro per una imprenditoria e una pubblica amministrazio­ne sempre più colluse con la criminalità organizzata. La re­altà è sotto gli occhi di tutti».
Allegria.
«Eco4 è una storia emblema­tica. Nasce con un bando di ap­palto che è un vestito su misu­ra per il vincitore, già indivi­duato » .
Il momento fondamentale è questo?
«Certo. L’azienda, legata al­la camorra, viene resa più for­te dall’appalto. Il resto lo leg­giamo in questi giorni. E’ acca­duto con i rifiuti, perché l’emergenza ha portato fiumi di denaro. Ma può avvenire in ogni altro settore».
Soluzioni?
«La scelta del partner priva­to deve essere trasparente».
Ormai è un tormentone.
«La scelta non deve essere fatta dagli enti locali che gesti­scono il territorio».
Facile a dirsi.
«Si può anche fare. Va dato atto a Roberto Maroni, l’attua­le ministro dell’Interno, di aver capito che lo snodo più importante è questo: si deve trovare il modo di sganciare la politica dagli affari».
E come?
«Con la Stazione Unica Ap­paltante. La stanno sperimen­tando in Sicilia e Calabria, pre­sto anche a Caserta. L’appalto è gestito da una commissione di tecnici incaricati dalla Pre­fettura. E dopo l’assegnazione, lo segue, controlla che i sub ap­palti non siano inutili o sospet­ti. Può funzionare».
Anche in presenza di una Pubblica amministrazione che (in alcuni casi) neanche in Uganda?
«Lo stato attuale della Pub­blica amministrazione è la con­seguenza dell’eliminazione di ogni meccanismo di controllo interno».
Non arriverà a rimpiange­re i vecchi Comitati regionali di controllo.
«No. Funzionavano male. Ma la riforma Bassanini li ha eliminati, senza sostituirli con altri meccanismi di controllo preventivo».
Le conseguenze?
«Negli ultimi anni il deterio­ramento della PA sembra inar­restabile. Gli uffici dei Comu­ni sono ormai centri di potere senza alcun controllo».
Ogni tanto ci pensa la ma­gistratura.
«Ma l’intervento penale ri­chiede i suoi tempi. Prenda Eco4: un consorzio che dal 2004 ha cessato di esistere. Il controllo preventivo è la chia­ve di tutto».
Non è troppo tardi?
«Per il passato è sempre tar­di. Ma noi siamo obbligati a pensare al futuro».

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