Bonifiche fantasma, venti appalti sospetti
Venti aziende nell’affare bonifiche a trattativa privata, sullo sfondo di accordi di sapore clientelare. Niente gare pubbliche, nessuna competizione internazionale, ma una transazione finita nell’ultima tranche investigativa sulla crisi rifiuti in Campania. Il giorno dopo perquisizioni e sequestri nell’inchiesta Jacorossi appare chiaro lo scenario ricostruito dagli inquirenti. Venti contratti di subappalto su cui la Procura vuole vederci chiaro: si parte da una grande commessa pubblica girata dal commissariato per l’emergenza bonifiche alla Jacorossi, che a sua volta avrebbe delegato ad aziende locali il grosso delle attività di rimozione dei rifiuti. Truffa, falso e abuso d’ufficio i reati ipotizzati dal pool mani pulite dell’aggiunto Francesco Greco, nel corso delle indagini dei pm Ettore La Ragione e Henry John Woodcock. Una vicenda che ruota attorno a cosiddetto «atto aggiuntivo transattivo» firmato dal Commissariato a favore della Jacorossi: un provvedimento che assicurava una nuova commessa al colosso imprenditoriale, modificando il contratto originario del 2001. Nove indagati, oltre al governatore Antonio Bassolino (ex commissario all’emergenza bonifiche) e al prefetto Alessandro Pansa (ex commissario all’emergenza rifiuti), coinvolti Raffaele Vanoli, Arcangelo Cesarano (ex subcommissari ai rifiuti e alle bonifiche); Mario Lupacchini, dirigente dell’area ecologia della Protezione civile; Michele Giustozzi, vice presidente della Jacorossi; Ovidio Jacorossi, «ad» della società; Giuliano Percopo, avvocato dello Stato ed estensore del parere formulato in relazione all’atto aggiuntivo indirizzato al Commissariato di governo; Vincenzo Cocozza, docente universitario e consulente della Regione. L’assessore. Gabriele cita Nappi e Paolucci. La premessa è d’obbligo: i due ex esponenti della segreteria politica di Bassolino sono estranei all’inchiesta in corso. I loro nomi vengono citati dall’assessore regionale alla Formazione Corrado Gabriele, che decise di opporsi all’atto transattivo. Ecco il suo racconto: «Ricordo che ci furono delle riunioni informali anche con Paolucci e con Nappi, oltre con Nocera (ex assessore regionale estraneo alle indagini, ndr) e Lupacchini. Io insistevo per la risoluzione del contratto facendo leva sulle gravi inadempienze della Jacorossi. Paolucci e Nappi spingevano per la transazione, mentre Soprano, (consulente del presidente Bassolino per la contrattualistica, estraneo all’inchiesta Jacorossi, ndr) insisteva che la transazione era fattibile e che si potevano affidare nuovi lavori». Gabriele insiste: «Non firmai perché non volevo continuare un contratto con la Jacorossi che non aveva ancora stabilizzato gli lsu. C’erano inadempienze, i lavoratori erano tenuti al minimo stipendiale e vi era ricorso al subappalto, tanto che chiesi a Cesarano l’elenco delle ditte subappaltate». I subappalti. Per i pm la Jacorossi ha sempre fatto «massivo ricorso a numerosi subappalti», sia per la rimozione che per il trasporto dei rifiuti. Le venti ditte. Ora l’attenzione è sulle aziende entrate nell’affare bonifiche del litorale domitio flegreo e agro aversano. Indagini sui certificati antimafia, sull’impiego di possibili prestanome, a partire dalle accuse del pentito Gaetano Vassallo che ha parlato di imprese «in odore di camorra», di clan casalesi in campo. Le perquisizioni. Sequestrati computer, hard disk, telefonini. L’inchiesta si è arricchita anche della testimonianza dell’avvocato dello stato Maria Cira Sannino, che aveva sollevato perplessità sull’atto aggiuntivo.