Dopo le accuse di Galgano i magistrati all’attacco Disappunto sull’operato degli uffici di secondo grado

«Troppi sconti in appello», dossier dei pm

La Dda: condanne ridotte nei processi, a vuoto la nostra azione. Malumori contro procura generale e giudici
19 ottobre 2009 - Leandro Del Gaudio
Fonte: Il Mattino

A ben vedere, i primi a sollevare il caso sono stati i vertici dell’Anm, il «parlamentino» dei giudici del distretto. E lo hanno fatto nel pieno della bufera sollevata dalle parole del procuratore generale Vincenzo Galgano: uno dei problemi della giustizia a Napoli sta in Appello, hanno fatto capire i leader dell’associazione magistrati locale. Altro che «pm fanatici» o Procura beffata da killer in fuga, solo per citare le recenti esternazioni del pg Galgano: qui, le vere emergenze - a leggere fino in fondo il documento dell’Anm - «riguardano il giudizio penale in fase di appello, visto il carico di procedimenti in arrivo». Un imbuto che attira da mesi l’attenzione di tanti pm napoletani. Un caso sollevato nel bel mezzo della querelle aperta dalla più alta carica requirente del distretto, che ha duramente criticato l’azione di alcuni magistrati della Procura. Immediata la replica, che sposta l’attenzione sul secondo grado di giudizio di importanti processi svolti in questi anni nel distretto napoletano. In prima linea, neanche a dirlo, quelli della Dda di Napoli, che da mesi stanno raccogliendo sentenze e dispositivi di condanna nei processi che si concludono in appello. Che succede ai piani alti del Tribunale? Cos’è che tiene in allerta i pm anticamorra? Perché l’Anm non può non citare il caso appello? La risposta rimanda alle ultime riunioni del pool anticamorra: troppi sconti, troppe condanne livellate verso il basso nei processi che riguardano il crimine organizzato, secondo quanto sostengono alcuni pm. Qualcosa in più di una sensazione del singolo magistrato, dal momento che l’appuntamento per tutti è rinviato alla prossima riunione interna del pool della Dda. L’incontro è previsto per la fine del mese. È in questa occasione che verranno portate all’attenzione dei coordinatori del pool - gli aggiunti Cantelmo, Federico Cafiero De Raho e Pennasilico - il risultato delle ricerche svolte negli ultimi mesi. Nulla di sofisticato, nulla di misterioso. Nelle cartelline di una decina di pm ci sono solo due documenti: le condanne in primo grado e le condanne in appello. In sintesi, la storia dei processi anticamorra riletti a distanza di un paio di anni da sostituti pg e giudici d’appello. Quanto basta - a voler studiare le intenzioni dei pm anticlan - a dire che qualcosa non funziona, che va al di là del libero convincimento di un giudice, vale a dire della indiscutibile decisione di un magistrato di sposare o meno la tesi dei pm. Tanto che si studiano in questi giorni i verbali di udienze di alcuni processi presi a campione. E a leggere le ricostruzioni compiute, c’è più o meno lo stesso ritmo e lo stesso copione. Funziona grosso modo così: gli avvocati rinunciano ai motivi di merito, tranne che per la pena, e propongono una sorta di confessione o di riparazione del danno. Così il processo finisce prima di iniziare, fascicoli sfoltiti in sezioni oberate da centinaia di procedimenti. Tutto chiaro. Anche se per una parte di inquirenti siamo all’anticamera del «patteggiamento» delle pene, uno strumento abolito qualche anno fa in materia di crimine organizzato, che rischia - è quanto mugugnano non pochi pm - di uscire dalla porta del processo e tornare dalla finestra. Appuntamento fissato per fine mese, dunque, alla presenza del sostituto procuratore nazionale Filippo Beatrice, uno che ha fatto la storia della lotta alla camorra negli ultimi anni: ciascuno con la sua cartellina sotto il braccio, condanne che in primo grado sfiorano i trent’anni e che in appello finiscono fortemente livellate verso il basso. Siamo davanti al libero convincimento di un giudice o a patteggiamenti di fatto?

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