Galgano: «Ci sono pm fanatici che danneggiano le persone e provocano sofferenze»

qui certi magistrati vivono nell’irrealtà, la loro eccessiva sicurezza li porta a insistere negli errori
15 ottobre 2009 - Gianluca Abate
Fonte: Corriere del Mezzogiorno

L’intervista inizia con un caramella al miele, marca Ambrosoli.

Vincenzo Galgano la tira fuori dal casset­to della scrivania, la estrae dal pacchet­to, appallottola la carta gialla nel posace­nere e la mastica per almeno un minu­to. «Questa schiarisce la voce. E io devo parlare tanto». Martedì 13 ottobre 2009, l’altroieri, nuovo palazzo di giustizia, «Torre C», dodicesimo piano, le cinque del pomeriggio. Vincenzo Galgano — procuratore generale della Repubblica, la più alta carica della magistratura in­quirente nel distretto di corte d’appello di Napoli — siede sulla stessa sedia che occupava esattamente sei mesi fa, quan­do una sua dichiarazione («Ci sono pm che perseguono interessi personali») scatenò un terremoto all’interno della Procura e portò all’apertura di un’ inda­gine del Csm. Correva il 14 aprile 2009. E, a dispetto del nome del santo del gior­no (Abbondio), il Pg decise di interveni­re direttamente nello scontro tra alcuni sostituti e il capo dei pm, conflitto scatu­rito dalla decisione di Giovandomenico Lepore di stralciare dall’inchiesta sui ri­fiuti le posizioni del sottosegretario di Stato Guido Bertolaso e del prefetto di Napoli Alessandro Pansa. Sei mesi do­po, la situazione non è cambiata. Anzi. La richiesta di archiviazione formulata dal procuratore nei confronti di Bertola­so e Pansa in ordine alle ipotesi di reato più gravi ha riacceso lo scontro, con tan­to di minacce di abbandono e interventi di parte della magistratura associata.

Procuratore generale, iniziamo dal­la fine. Cominciamo da quel documen­to di Magistratura democratica, l’ala di sinistra delle toghe, che ha parla di «anomala situazione processuale scaturita da determinazioni adottate in contrasto con quelle già espresse dal­la Procura in relazione ad altre perso­ne attualmente imputate nel dibatti­mento». L’ha letto?
«Sì. Toni irritanti. Dichiarazione irra­gionevole. Fossi in loro lascerei perde­re, non gli conviene…».
La sostanza, procuratore. La sostan­za, non la forma.

«La sostanza è che i colleghi di Md hanno trascurato di considerare che chi esercita la funzione giudiziaria deve ob­bedire alla propria professionalità e alla propria coscienza».
Giusto, ma come la mettiamo con i coimputati? La Procura ha chiesto l’ar­chiviazione delle accuse più gravi per Bertolaso e Pansa, ma continua a ipo­tizzarle nei confronti degli altri: non è una disparità di trattamento?

«Qui si dimentica, o si vuol dimenti­care, che la parola finale spetta a un giu­dice, non a questo o quel pm. E poi non ho capito bene chi debba decidere che un magistrato ha fatto bene e che il suo collega ha sbagliato».
Se non lo sa lei…

«La persona che ha adottato questa decisione è un magistrato perbene, non un mascalzone. Ora, come si fa a dire che l’imputazione più lieve è quella sba­gliata? È una cosa che stabilirà il giudi­ce: il quale, beninteso, potrebbe anche decidere di ipotizzare reati più gravi. Ac­cusare il procuratore di aver adottato de­cisioni per non ostacolare l’attività del Governo è una cosa fuori dal mondo. E, guarda caso, chi l’ha difeso pubblica­mente? Paolo Mancuso, uno certamen­te non sospettabile di rapporti di amici­zia con il Governo e con il suo pre­mier ».
Sta dicendo che è stata sbagliata la strategia «politica»?

«No, sto dicendo che la vicenda è di­ventata oggetto di un diffuso e ingiusti­ficato clamore. È inevitabile che chi diri­ge un grande ufficio non possa ignorare effetti e ricadute dell’attività giurisdizio­nale. C’è chi si ostina ancora a non capi­re che quella del magistrato è un’attivi­tà pratica, non un mero esercizio teori­co svincolato da responsabilità».
Qualcuno sostiene che i magistrati dovrebbero giudicare senza farsi con­dizionare dalla realtà…

«Qui il ragionamento va sganciato da questo o quel processo, dai singo­li magistrati. Ciò premesso, è ora di iniziare a chiarire alcuni punti una volta per tutte».
Chiarisca…

«La ricerca astratta della perfet­ta osservanza delle leggi dà luogo a soluzioni dolorose e insoddisfa­centi per coloro che ne subiscono le conseguenze, siano essi indivi­dui o collettività».
La «perfetta osservanza delle leggi» però è impegno che do­vrebbe esser preteso, no?

«Certo, ma se si esaminassero bene le norme, e soprattutto se si applicassero correttamente le re­gole di interpretazione, queste conseguenze dannose non si do­vrebbero verificare».
Usa il condizionale…

«La ricerca della perfezione spesso si traduce in un errore».
Vuol dire che c’è qualche pm che sbaglia ad applicare le nor­me?

«Ci sono casi in cui la certezza delle proprie idee diventa fanati­smo. E uno degli effetti di questa eccessiva sicurezza è quello di non percepire le opinioni degli altri, di entrare in un meccanismo di irreal­tà e di errore, insistendovi».
E come si difende il cittadino da questi pm?

«Il nostro sistema giudiziario è co­struito in modo che gli errori vengano corretti, che questi magistrati si scontri­no sempre con un muro che li ricondu­ce a ragione. O, almeno, quasi sempre».
È quel «quasi» che preoccupa…

«Il lavoro della Procura costituisce la fase iniziale del procedimento, non quella finale. Ciò non esclude, però, che in questa fase certi magistrati possano creare problemi».
Quali?

«C’è il rischio che il fanatismo di alcu­ni pm venga strumentalizzato dall’ester­no per lotte politiche, campagne di stampa, trame cui la magistratura do­vrebbe rimanere estranea. La conse­guenza è un enorme danno all’ufficio del pubblico ministero».
Rischiano anche i cittadini?

«Il fanatismo di questi magistrati pro­voca sofferenze alla gente e alla colletti­vità. È un costo che i cittadini devono pagare all’autonomia della funzione giu­risdizionale ».
Scusi, ma il compito di vigilare sul­l’operato dei pm non spetta a lei?

«Sì».
E che fa?

«Tutto quello che posso, cioè solo se­gnalare certe condotte al Csm»
E poi?

«Bah. La sezione disciplinare funzio­na male. Il collegio è troppo numeroso, gravato da un carico eccessivo. E poi su­bisce gli effetti inevitabili connessi a un sistema organizzativo che ne trascura la terzietà».
Cioè?

«Cioè lì c’è sempre un collega che giu­dica su un altro collega. Insomma, è gente che fa lo stesso lavoro. E non vo­glio pensare alla lunghezza delle istrut­torie ».
E alla lunghezza dei processi ci vuo­le pensare?

«Le lungaggini giudiziarie si protrag­gono al di là di ogni possibile tollerabili­tà. Colpa dell’indifferenza di chi dovreb­be investire nei servizi giudiziari».
Ci risiamo. Piove, governo ladro?

«No. È anche colpa degli uomini se il sistema non funziona, ed è ora che colo­ro che vi operano inizino ad assumersi le loro responsabilità».
Ecco, a proposito di lungaggini. Qui tra poco parte la corsa alle elezioni re­gionali. Antonio Bassolino è un gover­natore che attende da cinque anni di sapere se è un «truffatore»…

«Questi tempi sono una follia di cui subiamo tutti le conseguenze. Abbiamo il diritto di sapere se colui che è stato mandato a presiedere la Regione è un mascalzone o una persona perbene. E non possiamo certo saperlo dal pm».
…Il sottosegretario all’Economia Ni­cola Cosentino invece aspetta da un anno di sapere se è colluso con i Casa­lesi…

«Io non ho elementi dai quali mi ri­sultino queste circostanze. E, per quel che mi riguarda, allo stato è una perso­na nei cui confronti non ho nulla da ridi­re ».
Ci sarebbero anche i tanti «imputa­ti qualunque» che avrebbero diritto a tempi celeri. Le loro attese sono adde­bitabili solo al sistema inceppato?

«No. È intollerabile anche l’indiffe­renza mostrata da gran parte dei magi­strati per i tempi della loro attività. Que­sto è un aspetto della professionalità che trovo peggiorato».
Che fa, rimpiange la vecchia genera­zione?

«C’è un generale abbassamento della qualità media degli studi, i cui effetti inevitabilmente si riverberano anche sulla qualità media dei magistrati delle nuove generazioni. Ciò non significa che io non noti, anche tra questi ultimi, alcuni vivissimi ingegni».
Ingegni a parte, pensa che i magi­strati di oggi siano meno bravi di quel­li di ieri?

«Il calo di qualità non è né inferiore né superiore a quello di tutti gli ambien­ti professionali. Però c’è stato, anche se compensato da alcune eccellenze. È la storia del nostro Paese, del Sud in parti­colare. Gli altri hanno cento cavallucci. Noi dieci stalloni di razza, ma 90 asini».

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