Napoli, rifiuti speciali nella falda acquifera La città dorme su un carico di veleni
Gli speleologi appena qualche anno fa non hanno potuto ispezionare le cavità sotto la chiesa disastrata di San Carlo alle Mortelle per le gallerie impraticabili, perché ostruite da tonnellate di immondizie e detriti. E con i Quartieri Spagnoli è il sottosuolo dell’intera città ad essere ridotto a discarica di rifiuti anche speciali, quindi pericolosi: risulta dell’edilizia, vernici, fusti con sostanze presumibilmente tossiche si ammassano sotto terra accanto a tonnellate di rifiuti ordinari gettati dai pozzi che un tempo furono vanto dell’ingegneria borbonica.
Ed anche sull’acqua che scorre in falda galleggiano rifiuti ordinari, vernici, olii minerali, lattine, plastiche, acqua che, nei quartieri «verdi» periferici, è utilizzata per irrigare coltivazioni.
I fusti presumibilmente tossici sono stati trovati al centro della città, sotto via Monte di Dio, assieme a quintali di detriti dell’edilizia. A Chiaia, nell’immediato sottosuolo di via Morelli gli speleologi si sono imbattuti in una discarica colante di olii esausti ed ancora in tonnellate di detriti edili. Sotto via Matteo Renato Imbriani, altre distese di detriti misti a rifiuti ordinari. Pure a via Nicotera le grotte sono un’immensa discarica come alle porte della città, a Marianella sotto via Scaglione: sacchetti ancora integri «scivolano» soprattutto dall’emergenza rifiuti, a quintali, lungo gli antichi pozzi direttamente nel sottosuolo. E la famosa acqua di Napoli: gli speleologi hanno fotografato rifiuti urbani che navigano sul pelo dell’acqua di falda sotto via Soriano, in zona piazza Dante, dove anche liquami sono sversati direttamente da un paio di stabili in canale, mentre le rive delle gallerie sono sommerse da materiali di costruzione; ed a poca distanza sotto vicolo Papa la superficie dell’acqua si copre di vernici e solventi sversati da un pozzo. Anche a Chiaia, in via Chiatamone e sotto vico Santa Maria Apparente al corso Vittorio Emanuele sono state fotografate «immissioni abusive di acque nere» direttamente in falda. Dieci le strade ispezionate nel sottosuolo e qualche foto datata a diversi mesi fa è anche finita a corredo di segnalazioni agli Enti ed alle autorità competenti, ma mai nessuno è intervenuto per sgomberare gallerie dai rifiuti o bloccare gli sversamenti abusivi nei pozzi.
Il mese scorso le voragini ai Quartieri Spagnoli, lo sgombero conseguente di tre palazzi e l’interdizione della Chiesa di San Carlo alle Mortelle sprofondata sotto la navata centrale hanno riportato al centro dell’attenzione la questione sottosuolo, che a detta degli esperti potrebbe sostanziarsi in un pugno di parole: i controlli sulle cavità di Napoli si fanno «ogni 20-30 anni»; quando si fanno sono impediti da ostacoli non soltanto di natura economica, ma materiali; alle denunce degli esperti, regolarmente protocollate ad uso di Enti ed autorità che conferiscono gli incarichi di controllo, non seguono interventi. La mappa «a campione» delle ostruzioni e delle discariche sotterranee appena illustrata è opera del geologo napoletano Gianluca Minin, direttore tecnico della Ingeo Srl, società che svolge dal 2002 verifiche statiche nelle cavità della città per conto del commissariato di Governo per l’Emergenza Sottosuolo. Nel 2002 si era avvicinato anche alle cisterne di San Carlo alle Mortelle ma non è riuscito a raggiungerle. «È abitudine consolidata — spiega Minin — quella di utilizzare i pozzi che consentivano l’accesso alle cavità della città per sversarvi ogni tipo di rifiuto. Ma soltanto negli ultimi anni gli sversamenti, prima caratterizzati da detriti a prevalenza terrosa e da materiali di risulta dell’edilizia, sono frequentemente costituiti da rifiuti solidi o liquidi urbani e da rifiuti speciali. Durante le attività di verifica abbiamo individuato e cartografato centinaia di sversamenti abusivi di materiale eterogeneo, che nella maggior parte dei casi costituiscono un ostacolo per le attività di rilievo occludendo gli accessi agli ambienti e rappresentano un pericolo per i tecnici perché, in diversi casi, si tratta di materiali organici e rifiuti speciali come vernici ed olii combustibili». L’impossibilità di accedere in tutte le cavità rappresenta un rischio, continua Minin, anche perché «per numerosi edifici non sono state mai verificate le condizioni statiche delle cavità sottostanti. Anche per alcuni edifici storici il sottosuolo non è stato mai ispezionato; ad esempio, i rilievi realizzati in superficie a palazzo Maddaloni e a Palazzo Doria-D’Angri hanno evidenziato la presenza di numerosi pozzi otturati da materiali di risulta. Invece più grandi cavità nel settore a Nord di Napoli sono state usate come sversatoio di rifiuti solidi urbani con la mancata raccolta nelle strade durante la cosiddetta emergenza.
E la pratica dello sversamento abusivo di rifiuti nel sottosuolo non è controllabile, visto che le verifiche nelle cavità vengono istruite e realizzate con intervalli compresi tra 20 e 30 anni». Anche perché rilievi del genere, compresa la rimozione degli ostacoli, hanno un costo elevatissimo che spiega le interruzioni degli svariati tentativi di mappatura del sottosuolo degli ultimi cinquant’anni. Un progetto è all’attenzione degli Enti locali ma prende tempo proporzionalmente ai rispettivi limiti di bilancio. L’esperto, Minin, dal suo canto spiega: «Sarebbe fattibile cominciare col censimento in un’area campione di tutti gli sversamenti di materiali; con schedature delle tipologia e quantità di materiali sversati, gli indirizzi dei pozzi utilizzati, fotografie e soprattutto, le indicazioni sulle conseguenze degli sversamenti in termini di inquinamento di falda, ostruzioni, danni, perdite idriche. Il censimento almeno consentirebbe di individuare gli edifici da cui sono stati sversati i materiali e, quindi, nel caso in cui gli sversamenti impediscano agli speleologi di proseguire le attività di verifica, trattandosi di un’aggravante, bisognerebbe poter accollare ai responsabili i costi per la rimozione dei materiali o per le attività di scavo necessarie».