Napoli, rifiuti speciali nella falda acquifera La città dorme su un carico di veleni

Gli speleologi del commissariato:nelle cavità montagne di detriti edili e fusti che galleggiano sul pelo dell'acqua
12 ottobre 2009 - Luca Marconi
Fonte: Corriere del Mezzogiorno

Vicolo Santa Maria Apparente, zone corso V. Emanuele, liquami sversati da scarico fognario abusivo; aria totalmente irrespirabile Gli speleologi appena qualche anno fa non hanno potuto ispezionare le cavità sotto la chiesa disastrata di San Carlo alle Mortelle per le gallerie impraticabili, perché ostruite da tonnellate di immondizie e detriti. E con i Quartieri Spagnoli è il sottosuolo dell’intera città ad essere ridotto a discarica di rifiuti anche speciali, quindi pericolo­si: risulta dell’edilizia, vernici, fusti con sostanze presumibilmente tossiche si ammassano sotto ter­ra accanto a tonnellate di rifiuti ordinari gettati dai pozzi che un tempo furono vanto dell’ingegneria borbonica.
Ed anche sull’acqua che scorre in falda galleggiano rifiuti ordinari, vernici, olii minerali, lattine, plastiche, acqua che, nei quartieri «verdi» periferici, è utilizzata per irrigare coltivazioni.
I fu­sti presumibilmente tossici sono stati trovati
al centro della città, sotto via Monte di Dio, assieme a quintali di detriti dell’edilizia. A Chiaia, nell’immediato sottosuolo di via Morel­li gli speleologi si sono imbattuti in una discarica colante di olii esausti ed ancora in tonnellate di de­triti edili. Sotto via Matteo Renato Imbriani, altre distese di detriti misti a rifiuti ordinari. Pure a via Nicotera le grotte sono un’immensa discarica co­me alle porte della città, a Marianella sotto via Sca­glione: sacchetti ancora integri «scivolano» soprat­tutto dall’emergenza rifiuti, a quintali, lungo gli an­tichi pozzi direttamente nel sottosuolo. E la famosa acqua di Napoli: gli speleologi han­no fotografato rifiuti urbani che navigano sul pelo dell’acqua di falda sotto via Soriano, in zona piazza Dante, dove anche liquami sono sversati diretta­mente da un paio di stabili in canale, mentre le ri­ve delle gallerie sono sommerse da materiali di co­struzione; ed a poca distanza sotto vicolo Papa la superficie dell’acqua si copre di vernici e solventi sversati da un pozzo. Anche a Chiaia, in via Chiata­mone e sotto vico Santa Maria Apparente al corso Vittorio Emanuele sono state fotografate «immis­sioni abusive di acque nere» direttamente in falda. Dieci le strade ispezionate nel sottosuolo e qualche foto datata a diversi mesi fa è anche finita a corre­do di segnalazioni agli Enti ed alle autorità compe­tenti, ma mai nessuno è intervenuto per sgombera­re gallerie dai rifiuti o bloccare gli sversamenti abu­sivi nei pozzi.
Via Soriano, zona piazza Dante, rifiuti solidi urbani in galleggiamento sulla falda Il mese scorso le voragini ai Quartieri Spagnoli, lo sgombero conseguente
di tre palazzi e l’interdi­zione della Chiesa di San Carlo alle Mortelle spro­fondata sotto la navata centrale hanno riportato al centro dell’attenzione la questione sottosuolo, che a detta degli esperti potrebbe sostanziarsi in un pu­gno di parole: i controlli sulle cavità di Napoli si fanno «ogni 20-30 anni»; quando si fanno sono im­pediti da ostacoli non soltanto di natura economi­ca, ma materiali; alle denunce degli esperti, regolar­mente protocollate ad uso di Enti ed autorità che conferiscono gli incarichi di controllo, non seguo­no interventi. La mappa «a campione» delle ostru­zioni e delle discariche sotterranee appena illustra­ta è opera del geologo napoletano Gianluca Minin, direttore tecnico della Ingeo Srl, società che svolge dal 2002 verifiche statiche nelle cavità della città per conto del commissariato di Governo per l’Emergenza Sottosuolo. Nel 2002 si era avvicinato anche alle cisterne di San Carlo alle Mortelle ma non è riuscito a raggiungerle. «È abitudine consoli­data — spiega Minin — quella di utilizzare i pozzi che consentivano l’accesso alle cavità della città per sversarvi ogni tipo di rifiuto. Ma soltanto negli ultimi anni gli sversamenti, prima caratterizzati da detriti a prevalenza terrosa e da materiali di risulta dell’edilizia, sono frequentemente costituiti da ri­fiuti solidi o liquidi urbani e da rifiuti speciali. Du­rante le attività di verifica abbiamo individuato e cartografato centinaia di sversamenti abusivi di materiale eterogeneo, che nella maggior parte dei casi costituiscono un ostacolo per le attività di rilie­vo occludendo gli accessi agli ambienti e rappre­sentano un pericolo per i tecnici perché, in diversi casi, si tratta di materiali organici e rifiuti speciali come vernici ed olii combustibili». L’impossibilità di accedere in tutte le cavità rappresenta un ri­schio, continua Minin, anche perché «per numero­si edifici non sono state mai verificate le condizio­ni statiche delle cavità sottostanti. Anche per alcu­ni edifici storici il sottosuolo non è stato mai ispe­zionato; ad esempio, i rilievi realizzati in superficie a palazzo Maddaloni e a Palazzo Doria-D’Angri han­no evidenziato la presenza di numerosi pozzi ottu­rati da materiali di risulta. Invece più grandi cavità nel settore a Nord di Napoli sono state usate come sversatoio di rifiuti solidi urbani con la mancata raccolta nelle strade durante la cosiddetta emergen­za.
E la pratica dello sversamento abusivo di rifiuti nel sottosuolo non è controllabile, visto che le veri­fiche nelle cavità vengono istruite e realizzate con intervalli compresi tra 20 e 30 anni». Anche perché rilievi del genere, compresa la rimozione degli osta­coli, hanno un costo elevatissimo che spiega le in­terruzioni degli svariati tentativi di mappatura del sottosuolo degli ultimi cinquant’anni. Un progetto è all’attenzione degli Enti locali ma prende tempo proporzionalmente ai rispettivi limiti di bilancio. L’esperto, Minin, dal suo canto spiega: «Sarebbe fattibile cominciare col censimento in un’area cam­pione di tutti gli sversamenti di materiali; con sche­dature delle tipologia e quantità di materiali sversa­ti, gli indirizzi dei pozzi utilizzati, fotografie e so­prattutto, le indicazioni sulle conseguenze degli sversamenti in termini di inquinamento di falda, ostruzioni, danni, perdite idriche. Il censimento al­meno consentirebbe di individuare gli edifici da cui sono stati sversati i materiali e, quindi, nel caso in cui gli sversamenti impediscano agli speleologi di proseguire le attività di verifica, trattandosi di un’aggravante, bisognerebbe poter accollare ai re­sponsabili i costi per la rimozione dei materiali o per le attività di scavo necessarie».

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