Termovalorizzatore, Lombardi ricorre al Tar
Finisce davanti al tar la vicenda del termovalorizzatore di Salerno. L’associazione temporanea di imprese che ha partecipato alla gara bandita dal Commissario di governo Vincenzo De Luca, e non ritenuta idonea, ha presentato ricorso al tar Lazio chiedendo la sospensiva del provvedimento del commissariato. L’associazione temporanea d’imprese (comprendente Cogeco di Antonio Lombardi, De Vizia e la francese Cnim) aveva tentato fino all’ultimo di discutere con il commissario De Luca che aveva detto no all’impianto, ma poi ha deciso di ricorrere al tribunale amministrativo. «Abbiamo fatto ricorso, certo qualcuno credeva il contrario?», dice Lombardi ai suoi stretti collaboratori. Scotta ancora l’esclusione che risale al mese di aprile scorso, delle aziende che, a parte quella di costruzioni di Lombardi, avevano alle spalle la realizzazione di grandi opere nel settore e non avevano mandato giù la decisione del commissario. Il tema termovalorizzatore è da giorni al centro di una rovente polemica che coinvolge i due commissari che si occupano di rifiuti attualmente in provincia: il sindaco De Luca appunto e l’assessore provinciale all’Ambiente Giovanni Romano. Il primo ritiene di poter esperire una nuova gara. L’altro reitera la richiesta al Governo di sottrarre i poteri commissariali al sindaco della città («In 22 mesi non ha portato a termine il suo compito», dice Romano). E ora arriva l’iniziativa davanti al tar. Curioso che il plico con il ricorso sia stato fatto pervenire anche alla Provincia, ritenuta erroneamente interessata alla vicenda. «Almeno fino ad ora non abbiamo competenze e difficilmente ci costituiremo nel procedimento, dato che non ne abbiamo nessuna titolarità», puntualizzano dall’assessorato provinciale all’Ambiente. L’Ati non stata ritenuta idonea nonostante il partner francese avesse realizzato 28 termovalorizzatori in giro per il mondo e la De Vizia sia la prima azienda del settore ecologico in Italia. L’esclusione era avvenuta in quanto era stata rigettata la richiesta dell’azienda di reperire altrove una quota parte di rifiuti necessari a far funzionare le tre linee di incenerimento dell’impianto. Anche se per le esigenze della città e della provincia ne sarebbero bastate due. L’Ati avrebbe recuperato in proprio altro materiale (ad esempio le ecoballe) e ristorato il danno ambientale. Un’operazione sostanzialmente a costo zero per le casse pubbliche, spiegano i legali dell’Ati («dato che anche i 75 milioni per realizzare la viabilità ce li metteva l’Europa», fanno rilevare). I privati investivano 400 milioni e per tre anni e davano lavoro a a 4500 persone. Ai 31 milioni richiesti come ristoro dal comune, l’Ati ne avrebbe aggiunti un’altra ventina per ottenere l’opportunità di smaltire il surplus di rifiuti. Ma nella commissione giudicatrice è passata l’idea che questo eccesso di materiale da bruciare configurasse uno sforamento rispetto alle richieste del bando. Di qui l’esclusione, essendo l’offerta «condizionata», cioè legata al reperimento e allo smaltimento di una quota di rifiuti superiore a quella richiesta dal commissario. L’Ati rigetta questa lettura nel suo ricorso e fa notare maliziosamente un particolare ai giudici del tribunale del Lazio: «Della decisione del commissario sapemmo dal giornale nei giorni precedenti al pronunciamento della commissione, una chiara violazione del segreto a cui era vincolato il procedimento e l’intera istruttoria». Il ricorso bloccherà anche un’ipotetica nuova gara? «E chi l’ha detto? Forse ora si arriva davvero ad una definizione della questione», fanno sapere dagli uffici di Lombardi