A Napoli non torno più

Le colpe della politica. L'invasione della spazzatura. Il potere criminale. Lo scrittore spiega l'addio alla sua città. E accusa: 'Tutta l'Italia è un caso clinico'. Colloquio con Erri De Luca
Emiliano Fittipaldi
Fonte: L'Espresso - 06 agosto 2009

La riservatezza di Erri De Luca è leggendaria. Però. Sarà la vecchiaia, sarà la passione per il teatro, ma da qualche anno ad apparire davanti al pubblico ci ha preso gusto. Il proscenio non è un tabù. A fine agosto lo scrittore napoletano debutterà a Gubbio con il suo nuovo spettacolo, 'Fili'. Sarà sul palco, insieme a tre attori. "Io di recitare non sono capace. Semplicemente, io 'dico'. In alcuni momenti canto anche un po'. E racconto delle storie, le mie".
L'intervista è su Napoli. La grande città che ha abbandonato a 18 anni, quando andò a Roma e aderì a Lotta continua. "Facciamola pure. Ma dica che non ci vivo da decenni, e che non ci tornerò più".

Saprà che si passa da un'emergenza a un'altra. L'ultima è che il mare davvero non la bagna più. È così sporco che non si tuffano nemmeno gli scugnizzi.
"Napoli ha avuto nella sua storia problemi duri e seri, che l'hanno resa una città non del Sud d'Italia, ma del mondo. Nel dopoguerra aveva la più alta mortalità infantile d'Europa, c'era l'emigrazione di massa, i bombardamenti, la flotta degli Stati Uniti che la usava come discarica alcolica e sessuale dei suoi soldati. Negli anni '70 è arrivata l'epidemia di colera. Queste sì che sono piaghe serie. I problemi di oggi sono meno gravi. La città appartiene ormai al Nord. I suoi standard fanno chiasso e scalpore perché alcune peculiarità hanno resistito nel tempo".

La questione della monnezza resta però da Terzo mondo.
"Se non si riescono a prendere i sacchetti di spazzatura non è colpa della 'città', ma di un'amministrazione disastrosa".

Silvio Berlusconi ha pulito Napoli.
"Diciamo che se la monnezza è roba da Terzo mondo, lo è anche la sua soluzione. Come accade dove non ci sono democrazie compiute, arriva il boss di turno che risolve la questione spedendo le balle in giro e militarizzando i centri di smaltimento. La tendenza ad abusare di leggi speciali riguarda tutto il Paese, comunque. Dalla gestione della sicurezza all'Aquila fino al divieto di dare alcolici ai giovani a Milano. Non mi piace la moltiplicazione dei divieti e delle regole".

Napoli sarà anche meno sottosviluppata di un tempo, ma la violenza continua a essere la cifra dominante del territorio.
"Una quota di violenza a Napoli c'è sempre stata. Gli anni'80 erano assai peggio rispetto a quello che accade ora. Ricordiamoci che la camorra faceva centinaia di morti l'anno. I problemi attuali non mi sembrano così catastrofici".

La camorra continua però a fare ancora il bello e il cattivo tempo.
"Quando si parla di camorra si pensa che sia uguale alla mafia, che sia un'organizzazione piramidale comandata da una specie di consiglio di amministrazione che tutto decide. Sotto il Vesuvio l'anarchia è assoluta. Con un centinaio di famiglie che in genere si ignorano e qualche volta tentano di distruggersi a vicenda, quando si pestano i piedi per la gestione di qualche affare".

La microcriminalità resta un segno distintivo della città.
"Sì. Il fenomeno dipende dal fatto che la criminalità organizzata non ha una sua unità di comando. Ci sono tante, troppe piccole camorre. Da sempre è il cittadino comune che deve agire con destrezza, se vuole difendersi e cavarsi d'impaccio. L'aggressore può permettersi l'aggressività e la faccia tosta. Una dinamica che fa parte del sistema nervoso della città".

Cos'è cambiato allora rispetto al passato?
"È cambiata l'esigenza del crimine, non c'è quella fame che c'era un tempo. I criminali rubano per il loro piccolo lusso, non lo fanno certo per necessità. La cosa fa incazzare ancora di più".

La percezione generale è che Napoli sia in declino. Mentre l'esperienza del centrosinistra pare volgere al termine.
"Non credo che indietro si riesca a tornare. Magari uno vorrebbe anche... Il moto è accelerato verso il nuovo, e a volte verso il peggio. Io credo che le opzioni politiche dei due Poli siano talmente simili e affini che si tratta di ditte che si fanno concorrenza vendendo la stessa merce. La destra farà le stesse cose: la gestione del denaro pubblico viene fatta, sempre, mettendo davanti gli interessi privati. Una cosa che avviene anche fuori da Napoli. Noi non siamo un'anomalia, un eccezione del sistema Italia. A volte lo esaltiamo, lo denunciamo più chiaramente. L'Italia è un caso clinico, e Napoli è una sua esponente significativa. Anche perché ha una eco planetaria, a differenza di Busto Arsizio".

La vita culturale partenopea la affascina ancora?
"Napoli continua a brulicare di teatro e musica. C'è un grande movimento di fondo. Per quanto riguarda gli scrittori, insomma... Gli scrittori hanno sempre contato poco a Napoli. Contavano i poeti, quando si mettevano d'accordo con i musicisti e scrivevano canzoni che hanno resistito all'usura del tempo. Gli scrittori napoletani non sono stati significativi. Nessuno".

Nemmeno Roberto Saviano e il suo 'Gomorra'?
"Saviano ha inciso potentemente fuori città, a Napoli quasi niente. I libri, io credo, non spostano niente. Possono diventare dei fenomeni di conversazione. Possono istigare il ministero dell'Interno a concentrarsi sui casalesi. Ma rispetto al centinaio di famiglie di camorra, quelle che dominano Casale sono solo una delle tante...".

Intanto dalla città scappano via cervelli e artisti.
"È vero, c'è un'emorragia di risorse intellettuali che non trovano applicazione. Zero soddisfazioni, poco lavoro. Una condizione che accomuna tutti i giovani italiani, è il Paese intero a non offrire sbocchi alle intelligenze. Napoli e Milano non saranno la stessa cosa, sarà. Ma uno studente milanese che ha preso una bella laurea se ne va a New York, stia sicuro. E i napoletani trovano lavoro a Milano perché gli studenti meneghini partono. È un sistema integrato".

Roberto De Simone ha detto: "Napoli la odio, quando morirò seppellitemi da un altra parte".
"Io a Napoli non ci vivo da decenni. Ma capisco gli sfoghi, figli di momenti durissimi. Questa città procura dei sentimenti violenti in chi la abita, e anche in chi ne proviene. Appartenenza, disgusto, indignazione, ma anche passione. È una città sentimentale, e i suoi commentatori ne risentono".

Lei perché è andato via?
"Io mi sono dissociato nel lontano 1968, a 18 anni. Dalla mia famiglia, dagli studi, dalla città. Tutto insieme. Sono tornato solo nel 1980, ho passato un anno in un cantiere del post terremoto. Sono partito perché non ne potevo più, dentro quella famiglia, dentro quella città. Me ne dovevo andare".

Invecchierà ai bordi del Golfo?
"No. Non ci tornerò più. Anche perché la città di una volta è scomparsa, volatilizzata. Ammetto però che sono diventato più indulgente nei confronti di Napoli. Conta la distanza, credo. Ma anche l'età. Smussa gli angoli".

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