Quel luogo da sogno con l’olezzo dei pozzi neri
L’Amore è un sentimento fondamentale nell’esistenza, senza amore tutto appare più arido e meno desiderabile e anche se si tratta di quell’amore romantico da molti considerato in questi tempi cinici una sorta di pia illusione, è innegabile che il contributo che l’isola di Capri ha saputo dare alla capacità di sognare o di sognarsi, vuoi innamorati fulminei vuoi eterni amanti, è stato immenso. Allo stesso tempo, per la sua incredibile sensualità naturale, per i suoi profumi o la sua storia, ha saputo suscitare l’amore sincero in carovane di famosi viaggiatori che a loro volta han contribuito a far crescere questa leggenda di trascendenti legami amorosi tra mare e cielo, come nell’emblematico e nobile caso del neurologo svedese Axel Munthe. Ha costituito l’altra meta dello spicchio di un sentimento circolare che ha fatto assurgere l’isola a patrimonio dell’immaginazione collettiva sul tema Amore. Anche chi vi scrive, nel suo piccolo, ha legato probabilmente i momenti più felici e soprattutto spensierati della sua esistenza a quella parte dell’isola che negletta per decenni è assurta oggi a più ambiziosi traguardi di immagine e presenze esclusive. Sto parlando ovviamente di Anacapri, nel cui territorio comunale si è perpetrato forse lo sfregio d’immagine più clamoroso di questi giorni, quello ai danni della grotta Azzurra cui si legano indissolubilmente i miei ricordi di bambino «indigeno» fotografato dai turisti mentre seguendo la scia delle barche a remi scivolavo con i miei amici, che indigeni erano davvero, nel cuore di quella meraviglia della natura fino alla piccola spiaggetta verso il fondo da cui si osserva tutta la grotta e dove rabbrividendo si possono ammirare le barchette muoversi magicamente su quel liquido tappeto di zaffiro. Vedete? Impossibile parlare di Capri senza lasciarsi un po’ prendere la mano dalla dolcezza e dai sogni, ed è per questo che il colore di quel liquido disgustoso che ancora colava dall’autopompa del misfatto dopo essere stato scaricato proprio davanti all’entrata angusta della grotta, fa fatica ad allontanarsi dalla memoria ed è per lo stesso motivo che i sentimenti di rabbia sono sostituiti in chiunque ami la bellezza da una sorta di tristezza profonda, di impotenza avvilita. Il problema dei pozzi neri sia quelli privati che quelli delle strutture turistiche è problema antico e mai completamente risolto, soprattutto nella zona di Anacapri e certo è difficile immaginare di trovarsi di fronte a casi isolati. Spesso negli anni ho notato nelle zone di Mesola e Orrico, sulla strada della grotta, che i profumi della natura si mescolavano con zaffate mefitiche di provenienza dubbia, ed era molti anni fa. È lecito ritenere quindi che la «soluzione» dell’espurgo inquinante a mare ad Anacapri e a Capri sia molto ben radicata non solo nelle ditte truffaldine che da decenni svuotano i pozzi neri della zona sopra la grotta, ma che questa sia comunque frutto di una mentalità che molto spesso ha considerato la propria fortuna come una manna celeste di cui abboffarsi più possibile nel timore di un ritorno drammatico e temuto ad un’economia il cui motore per centinaia di anni è stato l’asino e non la Jaguar. Riflettevo già su questi aspetti quando la notizia del fermo del proprietario dei famosi bagni da Tiberio di Marina Grande e soprattutto le sue dichiarazioni stralunate sono finite sui giornali. Per l’imprenditore era la normalità lo scarico di migliaia di vuoti in vetro proprio al largo della sua marina, anzi ha cercato di uscirne addirittura come una sorta di Babbo Natale balneare: «I vetri si rompono sulle rocce e i frammenti finiscono nella sabbia che si colora e i bambini si divertono a recuperare i piccoli vetri colorati: lo faccio da sempre». Una dichiarazione davvero difficile da comprendere se non nell’ottica che vede troppo spesso gli abitanti dell’isola assenti da discorsi di prevenzione ma addirittura spesso attivi nello sfruttare il proprio territorio oltre la soglia del lecito. Del resto le fortune di Capri in termini economici sono relativamente recenti e la spartizione del territorio, delle risorse, delle rotte turistiche dei «giornalieri» e tante altre cose sono strutturate in modo decisamente organizzato da quando tutto questo fiume di denaro ha cominciato a crollare sugli isolani. Senza puntare il dito su nessuno vale la pena di ricordare però che molte delle operazioni di salvaguardia del territorio sono dovute ad interventi di privati illuminati, in alcuni casi governi notoriamente verdi come quello svedese che gestisce l’eredità Munthe, che han dovuto perfino opporsi con durezza ai tentativi di sfruttamento. Insomma, a meno di non volerci raccontare delle favole, se oggi abbiamo notizia di questi casi di abuso è solo perché i controlli sono stati intensificati dopo decenni di permissivismo, complice una gestione locale del territorio troppo impegnata a gestire l’immagine e poco a salvaguardare il territorio. Noi speriamo che nel futuro sia la popolazione dell’isola in prima battuta a consentire operazioni come quelle dei giorni scorsi. Capri è un isola piccolissima e, volendo, nemmeno uno spillo gettato via sulla strada può sfuggire al controllo di chi sull’isola ci vive.