Gli scarichi della conceria finivano nelle fognature
Solofra. Mais, uva e patate crescevano «innaffiati» con i liquami derivanti dal ciclo di lavorazione della concia. E se questo sistema di smaltimento dei reflui non era sufficiente ad accogliere il liquido prodotto, allora lo si convogliava semplicemente nella rete fognante. La sconcertante scoperta è stata fatta dai Carabinieri e dalla Polizia Municipale di Solofra quando si sono recati in una conceria del centro storico per notificare una ordinanza di sfratto a seguito di un decreto di delocalizzazione mai posto in essere dalla proprietà dell'opificio. Gli uomini delle forze dell'ordine sono rimasti sconcertati quando hanno capito che si trovavano davanti all'ennesimo caso grave di inquinamento ambientale. Senza perdersi d'animo gli uomini del maresciallo Giuseppe Friscuolo hanno allertato l'Arpa Campania di Avellino. L'azienda finita al centro del controllo è in via Campi, in pieno centro storico. Proprio perché si trovava in una zona centrale, e quindi sottoposta a vincolo, il sindaco Antonio Guarino, con un'ordinanza del 2005, ne aveva disposto l’immediata delocalizzazione nell'area industriale posta a valle. Ma, nonostante l'ordinanza del primo cittadino, ad oggi, come accennato, l'azienda non era mai stata spostata. Nella giornata di ieri, vigili urbani e carabinieri sono entrati nella conceria per contestare il fatto all'imprenditore. E hanno scoperto che, fuori dai capannoni, era sistemata una grossa vasca ove venivano convogliati tutti i liquami derivanti dalla concia. Da questa vasca, tramite una pompa a immersione, i liquami erano prima convogliati in un'altra vasca più piccola e poi gettati per una parte nella rete fognaria cittadina e per un'altra parte nel fondo agricolo limitrofo. Terreno, come detto, coltivato a mais, uva e patate, che quindi assorbivano un micidiale cocktail di acqua, cromo ed altre sostanze chimiche classificate come rifiuti pericolosi. Non solo. Vista l'approssimazione del sistema di smaltimento dei rifiuti, lo scarto del pellame lavorato, il carnaccio, era semplicemente gettato a terra all'esterno del capannone, sul suolo, provocando anche lì l'interramento dei liquami chimici usati nella concia del pellame. Immediato scattava il sequestro preventivo della conceria. Per l'imprenditore conciario, residente in città e nato nel 1933, scattava la denuncia a piede libero.